Pubblichiamo di seguito una puntuale disamina critica del Regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) per gli operatori privati in onde medie, approvato con delibera AGCOM n 3/16/CONS del 14 gennaio 2016 e pubblicato nel sito dell’Autorità il successivo 21 gennaio effettuata dal giurista Giorgio Marsiglio, promotore dell’intervento UE che ha dato il via alla novella legislativa nella cui scia il provvedimento regolamentare si pone.
Un aspetto positivo è la conferma che al Piano di radiodiffusione – Ginevra 1975 si debba fare riferimento in maniera integrale e, quindi, non solo rifacendosi all’attuale elenco delle frequenze assegnate all’Italia (con relative caratteristiche tecniche di irradiazione degli impianti e i vincoli tecnici), ma anche alla possibilità per il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) di attivare le procedure internazionali di modifica di tali parametri [art. 4, comma 2]: in tal modo, in caso di stazioni radio a bassa potenza sarà possibile modificare le caratteristiche di assegnazione delle frequenze (compresa l’ubicazione della stazione trasmittente), senza necessità di accordi con gli Stati confinanti. Quanto sopra consentirà all’Italia di aumentare i siti trasmittenti e di migliorare la loro dislocazione, con conseguente aumento delle frequenze a disposizione. Soddisfacente è anche la presa d’atto – da parte dell’AGCOM – che le frequenze assegnate alle onde medie italiane sono quelle che vanno dai 526,5 ai 1606,5 KHz. Sono così stati recuperati una quarantina di kilohertz, corrispondenti a ben quattro stazioni trasmittenti per ogni bacino di servizio [art. 2]. Di rilievo è anche lo spazio riservato agli operatori nuovi entranti [art. 5, comma 2, lettera c) e comma 3] e l’attenzione rivolta agli aspetti editoriali della programmazione delle future radio private in onde medie [art. 5, comma 2, lettera a), ultimo periodo], nel caso si dovesse avviare una procedura di selezione comparativa a causa di un numero di domande superiore a quello delle frequenze disponibili in un determinato bacino di riferimento. Quanto invece agli aspetti negativi, trascurando le osservazioni inviate in sede di partecipazione alla procedura di consultazione, l’AGCOM ha insistito – sbagliando – nell’individuare una sola figura legittimata ad acquisire in concessione le frequenze in onde medie: quella dell’«operatore di rete», figura prevista invece dalla legge esclusivamente per le trasmissioni in tecnica digitale. Infatti, l’operatore di rete (che è il soggetto che gestisce gli impianti e la rete e che fornisce la capacità trasmissiva necessaria per la trasmissione di contenuti agli utenti), da non confondere con il fornitore di servizi di media audiovisivi (che, invece, è quello predispone i programmi, ovvero l’editore del canale trasportato), sono figure che sono state previste dal Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici (TUSMAR) a seguito dell’avvento delle trasmissioni in tecnica digitale, le quali consentono la trasmissione contemporanea di più programmi sulla stessa frequenza (o, meglio, blocco di frequenze o di diffusione). Da qui la scelta del legislatore di distinguere tra chi gestisce gli impianti di trasmissione e chi, invece, a quei gestori si rivolge per mandare in onda la propria programmazione; distinzione talmente stringente che ha spinto la normativa all’obbligo di separazione contabile qualora il fornitore di servizi di media audiovisivi sia anche operatore di rete. Ma tutto ciò riguarda, appunto, tutto un altro mondo che è quello delle trasmissioni digitali, dove è venuta meno la coincidenza – diciamo così – tra «titolare dell’antenna» ed «editore della radio». Non è il caso, invece, delle nuove stazioni in onde medie, che saranno in gran parte analogiche e per le quali lo stesso TUSMAR prevede la figura della «emittente radiofonica», così definita [art. 2, comma 1, lettera bb)]: “Il titolare di concessione o autorizzazione su frequenze terrestri in tecnica analogica o digitale, che ha la responsabilità dei palinsesti radiofonici e, se emittente radiofonica analogica, li trasmette secondo le seguenti tipologie: 1) emittente radiofonica a carattere comunitario, nazionale o locale; 2) emittente radiofonica a carattere commerciale locale; 3) emittente radiofonica nazionale". Si tratta, quindi, di una figura ibrida prevista specificatamente per le trasmissioni radio per le quali non abbiamo assistito ad alcun switch-off obbligatorio dall’analogico al digitale, ma solo all’affiancamento (e alla coesistenza) del nuovo standard con il precedente. Ciononostante, l’AGCOM ha proseguito per la propria strada e ha erroneamente ritenuto – facendo riferimento a disposizioni normative che ritengo non portino alcun elemento valido alla tesi dell’Autorità – che la normativa predisposta per le trasmissioni digitali si applichi anche alle onde medie, con l’aggravante che la concessione delle frequenze è stata appunto riservata al solo operatore di rete, e non anche al fornitore di servizi di media audiovisivi. Ma quanto sopra esposto, al di là degli aspetti giuridico-formali che potrebbero sembrare di interesse per i soli addetti ai lavori, quali rischi comporta per il futuro delle onde medie italiane ? Solamente uno, ma enorme: di trovare dislocate nel territorio italiano solamente le torri di pochi concessionari “operatori di rete”, ai quali ci si dovrà necessariamente rivolgere – in veste di clienti – per mandare in onda il proprio palinsesto.Concessionari che potrebbero avere la tentazione di discriminare tra cliente e cliente, con conseguente creazione di posizioni dominanti e buona pace del principio, dettato dalla Corte costituzionale, di favorire l’accesso del «massimo numero possibile di voci diverse». Anche in questo caso assistiamo ad una dimostrazione del vizio, evidentemente innato nelle autorità italiane, di sostituire (invece che affiancare) un metodo con un altro già esistente, imponendo in via generale un sistema (quello dell’operatore di rete) che può certamente essere utile in caso di soggetti che abbiano qualcosa da dire alla collettività pur non avendo i mezzi per installare una stazione radio, ma che non è da generalizzare, pena la creazione di un oligopolio di pochi proprietari del “parco antenne” delle onde medie italiane. Il rischio da me paventato è rafforzato dal fatto che l’Autorità non ha previsto – come era stato, invece, suggerito – di evitare, nel caso si debba procedere alla procedura di selezione comparativa, che uno stesso operatore ottenga in concessione più di una frequenza nello stesso bacino oppure in più bacini, a scapito di altri soggetti istanti che non ne abbiano ottenuta alcuna nell’intero territorio nazionale; in tal caso al soggetto, risultante aggiudicatario di più frequenze, avrebbe dovuto farsi obbligo di optare per una sola frequenza entro un termine assegnato, consentendo così il subentro nelle altre frequenze ai soggetti assegnatari collocati utilmente nella graduatoria. Parimenti, non è stato accolto il suggerimento di vietare al Ministero di consentire – all’atto del rilascio della concessione – il trasferimento ad altri soggetti del diritto d’uso della frequenza. A chi voglia trasmettere in onde medie, quindi, è offerta la sola strada di diventare «operatore di rete», con probabili complicazioni contabili nello svolgimento della propria attività. Nelle premesse della delibera n. 3/16/CONS, con la quale l’Autorità ha approvato il nuovo regolamento, viene affermato che la legge non ha attribuito all’Autorità alcuna attività di pianificazione delle frequenze in onde medie a modulazione di ampiezza, in virtù dell’esplicito rinvio al Piano di Ginevra 1975. Conseguentemente, l’AGCOM ha ritenuto di non intervenire – lasciando quindi ogni decisione al Ministero – sulle tematiche relative alla pianificazione delle frequenze, alla definizione geografica dei bacini di riferimento, all’individuazione delle potenze minime e massime degli impianti radianti: tutti aspetti che avrebbero potuto favorire lo svolgimento dell’attività radiofonica in piccoli bacini territoriali, favorendo quindi il sorgere di una pluralità di emittenti, a bassa potenza e al servizio delle comunità locali. All’AGCOM ho già avuto modo di esprimere la mia contrarietà a tale linea di condotta, con la quale l’Autorità ha sostanzialmente abdicato al proprio ruolo; rinuncia che si spinge inspiegabilmente sino al punto di lasciare all’Esecutivo anche l’individuazione delle frequenze da garantire alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (ricordiamo che la rete RAI in onde medie, attualmente, consiste di soli tredici siti trasmittenti, in quanto gli altri precedentemente utilizzati sono stati abbandonati dalla stessa concessionaria pubblica). L’AGCOM espone così le future procedure di assegnazione delle frequenze a sicuri ricorsi giurisdizionali dinanzi al giudice amministrativo. Rimane il termine irrisorio di trenta giorni – dalla pubblicazione dell’elenco delle frequenze disponibili – per presentare la domanda di concessione del diritto di uso della frequenza [art. 4, comma 3]. Il ridotto periodo contrasta con quello più lungo (sessanta giorni) previsto per la verifica d’ufficio dei presupposti e dei requisiti per il conseguimento dell’autorizzazione generale, condizione necessaria al successivo rilascio della concessione della frequenza. Gli operatori interessati, pertanto, sono costretti fin da ora a presentare la SCIA per l’autorizzazione generale, prima ancora di poter conoscere se vi siano frequenze disponibili nel bacino geografico di interesse. Viene poi dato un termine non inferiore ai trenta giorni per partecipare alla procedura di selezione comparativa, ma non viene indicato entro quanti giorni il Ministero dovrà procedere ad essa [art. 4, comma 5], una volta che venga constatato che il numero delle domande presentate supera il numero delle frequenze disponibili. Il Ministero potrebbe quindi ritardare a tempo indeterminato l’avvio della procedura; è quindi necessario incalzare il MISE su questo aspetto, pretendendo tempi certi. Tra i criteri dettati per lo svolgimento della procedura di selezione comparativa, ve n’è uno (estensione territoriale della copertura) dalla quale non si capisce affatto quale radio verrebbe premiata con l’attribuzione di una maggior punteggio, se quella che copra il minore oppure il maggior territorio [art. 5, comma 2, lettera a), secondo periodo]. C’è il rischio che le emittenti di bassa potenza, che intendano porsi al servizio di piccole comunità – vengano penalizzate ed escluse. Senza fornirne motivazione, alla nozione di «bacino di riferimento», tanto intuitiva quanto corretta, si sostituisce quella di «risorsa pianificata» [art. 4, commi 4 e 5], con la quale mi auguro si voglia semplicemente intendere gli elementi (frequenze, caratteristiche tecniche di irradiazione degli impianti e i vincoli tecnici, compresa l’ubicazione) dettati dal Piano di Ginevra 1975 e non, come potrebbe sembrare, l’inserimento surrettizio di un nuovo consono più alle trasmissioni in standard digitale. Il termine «bacino di riferimento», comunque, è rimasto nel testo definitivo dell’articolo 5, comma 1, del regolamento, con inevitabili future incertezze interpretative. Alla fine è emerso che vi sarà un canone di concessione, come chiarito dalle premesse della delibera n. 3/16/CONS. Onestamente, ho letto più di una volta l’allegato 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche citato dall’AGCOM, ma non sono ancora riuscito a trovare la previsione che possa chiarire quale sia l’importo per la concessione delle frequenze in onde medie. Credo si tratti di una difficoltà del tutto personale. (Giorgio Marsiglio)
Fonte originaria: www.dirittoalradioascolto.sm/analisi_critica_regolamento_onde_medie_marsiglio_25_01_2016.pdf
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