La notizia è stata data da Bloomberg: il principale aggregatore di flussi streaming radiofonici del mondo, TuneIn, ha conferito mandato alla LionTree Advisors LLC (global investment and merchant banking firm) per ricercare opzioni strategiche, inclusa una possibile vendita (il collettore è valutato mezzo miliardo di dollari).
Il problema è che pur con 10 mln di abbonati premium, TuneIn fatica a reggere il confronto coi leader dello streaming on demand, Spotify, Pandora e Apple Music.
In sostanza, il modello è troppo simile a quello radiofonico tradizionale (di fatto è un sintonizzatore virtuale, seppur abbia un’importante area podcast) per non subire la medesima concorrenza che i broadcaster hanno dai servizi SOD.
Seppure la fruizione di trasmissioni radio in streaming sia esplosa nell’ultimo decennio, il business della società californiana (ha sede a San Francisco) non è ancora redditizio, anche se il break even si è avvicinato, tanto che ora è stimato in 6 anni.
Il punto è che la mera ritrasmissione di prodotti radiofonici non genera ancora ricavi rilevanti per TuneIn attraverso le soluzioni di digital adv quali preroll e midroll (peraltro oggetto di dure contestazioni da parte di superplayer radio poco disponibili alla commercializzazione di spazi sui propri contenuti senza accordi di retrocessione).
Per questo l’aggregatore ha acquistato i diritti sportivi dalla National Football League, dalla National Basketball Association e dalla Major League Baseball per trasmettere autoproduzioni sulle quali trattiene il 50% del ricavato pubblicitario.
Il positivo riscontro di tale area di attività editoriale ha condotto l’aggregatore a commissionare la produzione di audiolibri (dimostratisi però un flop, tanto da essere abbandonati da gennaio 2018) e a trasmettere propri spettacoli, virando quindi dal ruolo di piattaforma distributiva a quella di content provider. (E.G. per NL)