Dovrebbe essere presentata a breve Radio Player Italia, la società degli editori radiofonici modellata sullo schema societario ed organizzativo del Tavolo Editori Radio (TER), l’ente privato che si occupa della rilevazione degli ascolti radiofonici (per il quale, a sua volta, si mormora dal 2020 l’introduzione dei meter, come previsto da questo periodico nelle scorse settimane).
Radio Player Italia, negli intenti, dovrebbe essere la risposta captive agli aggregatori indipendenti, come TuneIn, MyTuner, FM World, ecc.
La logica degli editori è lineare: perché far guadagnare altri (con la pubblicità in preroll e midroll) coi nostri flussi streaming? Meglio indirizzare gli ascolti su una piattaforma di proprietà.
Ragionamento semplice. E pericolosissimo, se presuppone l’uscita dagli altri collettori, TuneIn in primis.
“Il principale aggregatore mondiale di flussi streaming radiofonici ha siglato stringenti accordi di partnership con Amazon e Google per l’ascolto radiofonico delle stazioni sugli smart speaker Echo (assistente Alexa) e Home (Assistant), cioè quelli che negli USA sono già i device preferenziali per l’ascolto radiofonico indoor (al posto delle radio FM/AM) e prestissimo sbarcheranno sulle auto in occasione del lancio di nuovi sistemi operativi dedicati (Android Car in testa). Salvo per le emittenti che si dotano di skill per Echo e action per Home, la mediazione di TuneIn per l’ascolto attraverso gli altoparlanti intelligenti è quindi imprescindibile”, commenta Giulia Cozzi della practice Radio Tv 4.0 di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico). “Ergo, scendere dalla piattaforma per vendersi da sé può essere un boomerang di dimensioni epiche, come ha dimostrato il recente dietro front di big player USA che lo avevano fatto. Si ripete, in sostanza, la querelle di Google News, aggregatore di notizie oggetto di un braccio di ferro con gli editori della carta stampata che pretendevano di essere pagati per lo sfruttamento delle loro notizie.
Richiesta rigettata da Google, che opponeva che l’indicizzazione delle news generava traffico e quindi reddito. L’oscuramento spagnolo, attuato da Google come lezione per il resto d’Europa (e non solo), dimostrò la potenza che Google News aveva raggiunto e i danni che la discesa dall’aggregatore comportavano per un sistema editoriale che ormai aveva più interessi sull’online che sulla carta stampata“, continua Giulia Cozzi.
“Ora TuneIn sta alle Radio come Google News sta all’editoria della carta stampata. Impossibile tornare indietro. Meglio trovare delle forme di cobusiness oppure sfruttare la potenza raggiunta da TuneIn. Come Consultmedia abbiamo realizzato analisi e studi per diversi clienti radiofonici tesi a dimostrare i pro e i contro dell’aggregazione di flussi streaming, in particolare in vista di un futuro che imporrà alla Radio di adottare una reazione uguale e contraria allo strapotere dei servizi di streaming audio on demand come Spotify.
D’altra parte, una volta che gli aggregatori principali saranno sul dashboard delle auto sarà necessario relazionarsi con loro in vista dell’inevitabile fase 2, che prevederà “suggerimenti” ed “abbinamenti” all’utente per favorire l’identificazione di prodotti di qualità del mare magnum indifferenziato di 130.000 flussi streaming“, puntualizza la consulente.
“Il futuro dell’aggregazione di flussi streaming radiofonici importerà nuove figure professionali destinate a quella che in Consultmedia abbiamo battezzato “SAO”, Search (Radio/Audio) Aggregator Optimization, cioè l’equivalente del SEO per l’indicizzazione online“, conclude Giulia Cozzi.
Bene quindi Radio Player Italia, ma occhio a non perdere di vista la circostanza che il volume complessivo della pubblicità radiofonica italiana (di tutte le emittenti, nazionali e locali insieme) è inferiore al solo budget stanziato da Spotify per sviluppare il business del podcasting. Perché per Daniel Ek, ceo del player dello streaming audio on demand (che ha 50 mln di utenti sull’automotive), il 20% degli ascolti nell’arco dell’anno corrente riguarderà contenuti differenti da quelli musicali e se la nuova area di business avrà il riscontro che lui si attende “inizieremo a competere in modo più ampio per tempo contro tutte le forme di intrattenimento e informazione, e non solo con i servizi di streaming musicale”. In altri termini, una dichiarazione di guerra ancora più netta di quelle passate nei confronti del mezzo Radio.. (E.G. per NL)