“Contenere entro ristretti confini il termine convergenza digitale non è possibile: essa identifica la rivoluzione numerica, la realtà virtuale, la realtà aumentata, la realtà ibrida, l’intelligenza artificiale e tanti altri concetti. È un’etichetta ma è anche parte di una realtà in cui la generazione Z (quella dei nati dopo il 1995) sta usando i formati digitali a scapito della radio tradizionale (almeno negli Stati Uniti)”.
Chi parla non è uno dei tanti profeti dell’era digitale: è Ruxandra Obreja presidente dal 2008 di DRM, Digital Radio Mondiale ed un passato trentennale al BBC World Service, dove è stata giornalista, redattore, commissario di programmi inglesi e responsabile dello sviluppo delle imprese.
D’altra parte, la convergenza digitale non è certo una novità: se ne parla da 40 anni. Nicholas Negroponte, il guru del MIT, celebre per i suoi studi innovativi nel campo delle interfacce tra l’uomo ed il computer, l’ha definita l’ibridazione, resa possibile dalla tecnologia digitale, di tanti strumenti atti ad erogare informazione. Convergenza significa per lui utilizzare una sola interfaccia per tutti i servizi di informazione.
“Tuttavia la maggior parte di noi interpreta la convergenza digitale come la combinazione di tecnologie multiple (digitali) in una sola. A prima vista, la tecnologia numerica convergente consente a 2,4 miliardi di persone di avere accesso immediato alle conoscenze del mondo, soprattutto sul loro smartphone, che è appunto la “scatola nera” convergente. Altri dicono che è molto di più: un processo, un nuovo modo di comprensione e di impegno con il mondo”, ha spiegato Ruxandra Obreja in un suo recente intervento al convegno internazionale “Asia meets Europe”, tenutosi nei giorni scorsi in Romania.
“Dalla fine degli anni ’90, con l’esplosione del dot.com, la convergenza digitale ha fatto il suo ingresso concreto nel nostro mondo: ci ha mostrato che i vecchi media (TV e radio) non potevano essere interamente sostituiti da Internet o dai nuovi media. Allo stesso tempo, però, ci ha spiegato che i vecchi media non sarebbero stati in grado di sopravvivere nel loro splendido isolamento analogico”, ha sottolineato la Obrejain.
“Si è fatta strada la convinzione che l’era completamente digitale della radiofonia fosse dietro l’angolo; ma questo non è accaduto”: nel processo di diffusione numerica dei contenuti “il medium ha ottenuto un’aura di grande resilienza, che è ancora oggi forte, nonostante la nuova minaccia dei servizi digitali”.
“Paradossalmente, la radio ha sempre avuto caratteristiche convergenti: è immersiva (si può perdere nella storia), può essere localizzata, persino personalizzata e utilizza l’intelligenza (reale, non artificiale) in quanto si basa sul più grande degli ingredienti mediatici: la narrativa”, ha enfatizzato il presidente del DRM.
“Ma nel nuovo mondo convergente, il giovane – ed il giovane-adulto – ascoltatore o consumatore è abituato ad essere parte della storia, ad impegnarsi e interagire. E la radio analogica non può più soddisfare questa nuova necessità acquisita. È vero che non tutto ciò che si sente sulla radio deve essere assimilato e condiviso”, ma le nuove esigenze ed abitudini dell’era del web devono poter essere soddisfatte anche da un medium che non può rimanere ancora a lungo unidirezionale (si veda l’immagine d’apertura che attesta le percentuali d’interazione e di frequenza giornaliera tra vecchi e nuovi strumenti di informazione).
“La convergenza digitale nel 2017 è una fusione tra nuovi e vecchi supporti con la radio digitale come parte del mix. La radio non è più solo audio: può produrre testo, interagire con Internet, integrare il sonoro con le immagini, può essere trasportata dalla tv ma trasportare essa stessa i video”, tanto più che i costi della capacità trasmissiva stanno precipitando ovunque (come dimostra la corsa delle radio italiane ad essere veicolate sul DTT per ovviare alla scomparsa degi ricevitori FM negli ambienti indoor).
“Ma attenzione: non esiste ancora il device unico: l‘idea della scatola nera e magica è sbagliata. La radio digitale può essere fornita tramite la TV digitale, ma essa non può sostituire completamente la radio (inoltre ci pensate a trasportare la vostra tv nella doccia per ascoltare lo show mattutino?)”, ironizza la manager del consorzio DRM.
La verità è che “la scatola nera è costituita da tante altre scatole nere”, almeno per ora. Esiste ed ha invece una potenza dirompente e progressiva la multipiattaforma, fenomeno caldeggiato dallo stesso regolatore italiano, l’Agcom, che spinge insistentemente gli operatori verso l’utilizzo.
“Del resto la radio esclusivamente sullo smartphone è (ancora, ndr) un’utopia: lo streaming mobile ha un costo astronomico rispetto al costo medio della trasmissione via etere. Un trasmettitore DRM può coprire fino a migliaia di chilometri; quanti telefoni cellulari servono per questo?” “Probabilmente nessuno smartphone, 4G o IP, sostituirà integralmente la trasmissione diretta terrestre all’autoradio, ai ricevitori stand-alone e, un giorno, ai cellulari con la radio digitale incorporata”. “E’ un contributo”, una piattaforma in più, che si aggiunge alle altre. Per questo “è necessario che la convergenza e l’aggregazione dei contenuti siano incrementati notevolmente: quanto prima le emittenti cominceranno ad attuare ciò, tanto meglio sarà per loro”.
Perchè la scatola nera non esiste ancora; ma le tante singole scatole sì. (M.L. per NL)