Il problema delle indagini d’ascolto sul mezzo radiofonico affidate ad un soggetto non terzo (perché controllato da chi è oggetto delle rilevazioni), è, ovviamente, l’autoreferenzialità.
E’ il principio del “va tutto ben madama la marchesa”, anche se magari tanto ottimamente le cose non procedono. Almeno in prospettiva.
Per questo, su queste pagine, invitiamo sempre a prendere con le pinze i dati dell’unica indagine sull’ascolto radiofonico italiano (quella del TER, Tavolo Editori Radio), che non raramente entra in contrasto con le conclusioni del Censis, dell’ISTAT (che ha lanciato un importante monito) o dei rilievi Nielsen, con l’effetto che, come negli USA, si è portati a chiudere gli occhi davanti alle conclusioni del Rapporto Miller. Salvo poi stupirsi del crollo di giganti dai piedi divenuti d’argilla.
Questo non significa che il medium radiofonico sia in crisi, beninteso. Anzi, pubblicitariamente il mezzo riscontra ancora risultati relativamente lusinghieri. Ad essere in difficoltà, semmai, è l’impiego che della radio viene spesso fatto, a dispetto dell’evidenza dei cambiamenti in corso.
Per esempio, cercando di inseguire un pubblico perduto per sempre, quello dei più giovani (i millenials), che ascoltano un brano musicale mediamente per un minuto, tanto che le radio version si riducono sempre di più nel vano tentativo di uniformarsi ai tempi di fruizione dell’IP.
Oppure che lo fanno esclusivamente in streaming (il download è in caduta libera perché si assume che un contenuto sia sempre e comunque disponibile in rete senza necessità di scaricarlo in locale), con un approccio on demand e con YouTube in testa, ma con uno Spotify che oltre a spaventare la BBC Radio, è sempre più col fiato sul collo della piattaforma di Google.
Ma anche che poi i millenials (ma non solo loro) sono pronti a sacrificare denaro pur di non avere interruzioni pubblicitarie, come dimostra il successo di piattaforme a pagamento come Spotify, Pandora, ma anche la versione premium della stessa YouTube.
O, ancora, ostinandosi a parlare di eventi locali quando all’ascoltatore ciò non interessa, perché tali informazioni le acquisisce altrove (ovviamente online).
Fino ad arrivare ad informare un pubblico disinteressato alle news radiofoniche con giornali radio triti e ritriti che spesso conducono l’ascoltatore a cambiare stazione (vale anche qui la considerazione oggettiva che le news in real time sono prelevate ormai online e non attese alla consueta ora piena del clock radiofonico).
Se si chiedesse all’utente automobilistico (quello che costituisce l’80% dell’audience radiofonica) che emittente desidera, probabilmente si scoprirebbe che vuole una radio musicale ben delineata, con poche interruzioni pubblicitarie ed informative ed un intrattenimento (semmai necessario) non invasivo e concreto (l’esatto contrario del parlarsi addosso di molte speaker anche in radio nazionali).
Anche quanto a piattaforma, se si avesse cura di domandare con quale device egli fruisce di contenuti musicali nell’indoor si scoprirebbe che in attesa degli esiti dello sviluppo degli smart speaker per tre quarti domina il tv tradizionale (di qui, ovviamente, il boom della visual radio DTT), con ciò determinando l’esigenza di affinare strategie adeguate sia quanto ad integrazione delle piattaforme di veicolazione che, ovviamente, a modalità di somministrazione dei contenuti (integrazione sensoriale).
Ma tornando alla desiderabilità del medium radiofonico, un’indagine puntuale su di essa mostrerebbe, con ogni probabilità, che quello che il pubblico vuole è allineato ai gusti di quello che sta diventando il target di riferimento del mezzo stesso, cioè gli over 30, con marcata concentrazione tra i 40-60 anni, in rapido allargamento della forbice nella parte alta per via dell’aumento dell’aspettativa di vita.
Forse allora scopriremmo che, senza nulla togliere alle ragioni di esistere delle TOP 40 (se comunque rivolte agli adulti, visto che i giovani fruiscono altrove dei brani hot), forse converrebbe di più virare verso gli oldies dei ’70 rispetto a quelli dei ’90. Oppure che, forse, porterebbe più vantaggi che controindicazioni sopprimere inutili interruzioni per appuntamenti che nessuno desidera ascoltare (notiziari uguali per tutti, viabilità non aggiornatissima o comunque non contestualizzata al territorio, meteo generico, ecc.).
O ancora che alla lista di manifestazioni locali pochi sono realmente interessati.
Infine, che, soprattutto, la radio non è più un medium per giovani.
Imparando dall’esperienza di quei quotidiani cartacei che a lungo hanno stoltamente pensato di poter competere con 12/24 ore di ritardo con la tempestività delle news online. (M.L. per NL)