Il rapporto Miller, come noto, sta creando non pochi grattacapi ai broadcaster di tutto il mondo che vedono due generazioni (la “zeta” e i “millennials”) che si sono quasi completamente allontanati dall’ascolto della radio. E allora la domanda che si pongono è: ma l’utenza cosa vuole?
I tentativi di creare fasce orarie pomeridiane con una programmazione più young oriented, magari arricchita di contenuti che vanno dall’uso di un linguaggio più goliardico – o in alcuni casi pecoreccio – non si sono rivelati vincenti nel lungo periodo; la finta interazione con la telefonata dell’ascoltatore (“ciao di dove sei? che fai, stai studiando?“) è aria fritta; la lettura sequenziale di sms e whatsapp, triste. E allora ci si accorge che gli ascolti iniziano a calare anche nelle altre fasce orarie e si ritorna al punto di partenza, riproponendo con sempre più angoscia la domanda iniziale: oggi la gente cosa vuole dalla radio?
In realtà, quello che sta avvenendo lo indica il web: la fetta di pubblico perduta dalla radio è approdata sui social network, un universo parallelo che permette a tutti di essere protagonisti; uno spazio libero dove tutti possono dire la loro, mostrarsi, esprimere e condividere le idee, coi più narcisisti pronti a specchiarsi ed a spogliarsi (in senso metaforico ma anche reale) per stimolare il feedback. Insomma, quello che era la radio libera negli anni ’70 per i baby boomers o la generazione X.
Così, analizzando gli elementi, ci si accorge che la radio (ricevente ma anche trasmittente) non deve essere più un apparecchio “statico” ma deve trasformarsi in qualcosa di sempre più interattivo con l’utente, che lo renda protagonista.
E non a caso gli OTT Amazon, Apple, Google stanno investendo proprio sugli smart speaker, l’evoluzione del ricevitore radio domestico (altoparlanti da salotti intelligenti) in salsa domotica, dotandoli di assistenti virtuali come Siri, Cortana, Alexa.
Androidi votati al ruoli di amici virtuali pronto ad accoglierci al rientro a casa dopo una giornata di lavoro, creandoci una colonna sonora ad hoc in funzione del nostro umore ed allertando tutti i device IOT ready utili allo scopo, propensi a conoscere le nostre abitudini e preferenze e chiaramente anche i gusti musicali (che certamente avremo modo di condividere con i nostri amici attraverso i social).
Non è fantascienza: questi dispositivi esistono già e per alcuni potranno essere il prossimo regalo da mettere sotto l’Albero, considerando il loro costo non esorbitante.
Sarà dunque lo smart speaker un possibile aggregatore di contenuti dalle news alla musica (tenendo conto dei tanti suggerimenti e consigli che comunque già è in grado di dispensarci) che ci darà il buongiorno, c’informerà delle condizioni meteo, dello stato della viabilità ed al quale saremo noi a porre delle domande, magari chiedendo di ascoltare il primo notiziario utile.
Lo smart speaker, dopo una continua e sempre più profonda profilazione, ci conoscerà sempre più nell’intimo (come Google, che anticipa ormai le nostre scelte, fino a condizionarle) e (tra le molte altre cose) ci suggerirà le stazioni o i contenuti per noi più adatti.
Non sottovalutiamo gli smart speaker relegandoli a surrogati evoluti di ricevitori radio: sono device in grado di ascoltare la nostra voce riconoscendone l’inflessione che tradisce gli stati d’animo, reagendo ai vari comandi che impartiamo (ed imparando da essi le nostre abitudini), diventando così predittivi.
Per le emittenti, quindi, la vera sfida sarà di fare entrare il loro programma, la loro playlist o magari anche solo il podcast.
Perché nel futuro della Radio 4.0 il problema non sarà farsi sintonizzare grazie alla potenza dei segnali, ma farsi trovare e scegliere nella moltitudine dei contenuti attraverso innovative tecniche di SEO applicate all’ambiente radiofonico. (R.M. per NL)