Lo scriviamo da tempo: la Radio non fa abbastanza engagement. Molti, troppi editori non capiscono che l’era della comunicazione da uno a molti sta per finire. O è già finita, superata come le arcaiche teorie del sociologo-massmediologo Herbert Marshall McLuhan, quello del “villaggio globale” e de “il medium è il messaggio”.
Per sopravvivere, i mass media devono trasformarsi, innovandosi attraverso soluzioni che consentano di integrare il contenuto base “da uno a molti” con quello di “molti a molti” o addirittura di “molti a uno”. Tenendo conto che, parafrasando il modello del citato McLuhan, oggi “il messaggio è il medium”.
Non è un gioco di parole: calandoci nel contesto specifico della radio musicale, ognuno di noi ha naturalmente delle preferenze specifiche e le soluzioni IP di streaming on demand consentono oggi di trovare esattamente il layout sonoro (anzi, audio/video) più adatto alla nostra personalità, senza doverci necessariamente adattare ad offerte generali e generiche (così come in tv Netflix ha già spazzato via la tv lineare basata su film e fiction).
Su questo principio sono nati e stanno crescendo velocemente i brand bouquet radiofonici, mux IP di radio verticali che si prefiggono di offrire all’utenza di un marchio principale delle declinazioni musicali sempre più specifiche (“solo anni ’70”, “solo anni ’80”, ma anche, per dire, “solo funky anni 70”, “solo dance italiana anni 80”, e via di verticalizzazione sempre più accentuata), frenando la fuga dei propri utenti verso le playlist di Spotify, che se anche tecnicamente radio non sono, dal pubblico vengono percepite come tali.
Ma non basta: come ci insegnano dagli USA, per mantenere la propria leadership nel mercato di riferimento, la Radio deve effettuare “engagement”, cioè creare relazioni solide e durature con i propri utenti, stabilendo un legame tra il brand ed il consumatore. Più sappiamo dell’utente, più possiamo implementare tattiche migliori per rafforzare il rapporto e renderlo stabile e duraturo.
L’engagement si può misurare in diversi modi: banalmente con l’acquisto di beni e/o servizi in forma ripetuta ed attraverso le visite reiterate al sito; più scientificamente con statistiche web relative ad elementi come la frequenza di rimbalzo, il tempo di permanenza, il numero di pagine viste per utente, i commenti su un post. Per farla breve, è necessario misurare il gradimento dell’utente per quello che facciamo per poterlo interpretare e massimizzare.
Ecco, la Radio italiana ha purtroppo ancora una modesta propensione all’engagement, che viene spesso limitato alla pubblicazione di post normalmente banali, spesso frutto di copia/incolla di altre notizie raccolte in rete, con zero originalità ed ovviamente modesta attrattiva. Un po’ come certe conduzioni on air, del resto.
In questa dimensione, tipica della comunicazione da uno a molti (quella di McLuhan), l’ascoltatore è passivo; esattamente il contrario da quello che si aspetterebbe dall’impiego di uno strumento come i social network, fondati sul principio della comunicazione da molti a molti.
Spotify, ancora una volta, ha compreso questa lacuna e sta per integrare nella propria app la funzionalità “Social Listening”, che consentirà agli utenti di connettersi con gli amici e di ascoltare contemporaneamente lo stesso brano, nonché aggiungere nuove tracce in coda e controllarne la riproduzione. in definitiva, realizzare quella che in ambiente Radio 4.0 è definita una “radio liquida”.
Il social upgrade di Spotify è ancora in fase di sviluppo ed al momento l’unica funzione “social” di è Connect, che permette agli utenti di vedere cosa stanno ascoltando gli amici e di creare playlist collaborative. Tuttavia, secondo rumors, prima dell’autunno 2019 il Social Listening sarà già disponibile per tutti gli abbonati di Spotify. (M.L. per NL)