Eric Rhoads, chairman di RadioInk, organo di informazione dell’industria radiofonica statunitense mette in guarda i broadcaster: “Le nuove generazioni, specialmente quelle che subentrano nelle attività dei genitori, possono vedere cose che questi ultimi non vedono: modi nuovi di raggiungere il pubblico (e la clientela, quindi), diverse opportunità di business e risvolti tecnologici, osservando le cose in modo diverso. E naturalmente capiscono anche cose nuove come l’ultima tecnologia che i loro genitori non hanno voluto o saputo intercettare”.“D’altra parte, è tipico delle giovani generazioni desiderare di fare le cose in modo diverso. I genitori, per contro, mostrano la resistenza tipica verso i cambiamenti di chi ha radicato comportamenti ed abitudini. Il figlio arriva e dice a mamma e papà che vivono nel passato e che lui vuole cambiare tutto.
Loro devono certamente ascoltare, ma anche insegnare al giovane che inseguire la novità a tutti i costi non è sempre la cosa giusta da fare. Mamma e papà hanno decenni di esperienza e a loro volta possono essere stati abbagliati dal futuro; ma generalmente sanno cosa funziona e cosa no; cosa è pratico e redditizio e cosa è futile. E’ un punto d’equilibrio difficile da raggiungere, quello tra le generazioni, ma è essenziale per garantire l’evoluzione socio-economica”, osserva Rhoads, la cui testata, da tempo (come fa in Italia questo periodico), sta sollecitando l’industria radiofonica statunitense e prendere atto degli importanti cambiamenti socio-tecnologici in corso.
“Un esempio di quanto sopra è l’esperienza di un amico titolare di un’agenzia pubblicitaria che gestiva il budget nazionale per un importante marchio automobilistico ora guidato da una generazione di manager più giovane di quella con cui aveva sempre avuto rapporti. La sua agenzia aveva messo in guardia i clienti di non rinunciare a TV, radio e stampa; ma l’invito era caduto nel vuoto davanti ad una mentalità digitale che voleva fare le cose a modo proprio. Il risultato fu che le vendite crollarono quando i concessionari abbandonarono ciò che funzionava (radio, tv e stampa locale, ndr) trasferendo tutto su piattaforme interamente digitali. Ciò nondimeno il management accusò del fallimento dell’azione pubblicitaria l’agenzia, che fu liquidata: pensavano di saper fare meglio, che fosse necessario cambiare quel che funzionava semplicemente perché era percepito come vecchio“, spiega Rhoads.
Ora però la successione interessa gli organici dell’industria radiofonica stessa, che, secondo il giornalista, “di sicuro deve guardare alle novità, ma non abbandonare ciò che funziona. Il problema chiave che la nuova generazione deve affrontare è come la radio possa competere in un mondo digitale. Ricordate quando la radio riconosceva il giornale locale come competitor e cercava di trarre profitto dallo stesso? Ora occorre trovare modi per competere con i social media, i motori di ricerca e anche le opzioni più recenti come quelle guidate dall’Intelligenza Artificiale (smart speaker ed auto interconnesse, ndr)”.
“La risposta più frequente dei radiofonici ai nativi digitali – continua Rhoads – è: “siamo migliori, possiamo fare di più, abbiamo relazioni con i nostri ascoltatori”. Ma questi argomenti non funzionano quando siamo in competizione con la capacità di misurare il ritorno sull’investimento (ROI) in tempo reale.
Oppure con una società come Clinch.co, che ha automatizzato lo sviluppo degli annunci (mette alla prova centinaia di annunci contemporaneamente e sceglie quello che ottiene la risposta migliore), con effettivi positivi sul ROI. Come si può competere con questo? Se c’è qualcosa che la vecchia generazione sta facendo e che la nuova deve cambiare, è proprio l’idea che possiamo competere come così come siamo, senza cambiare. Come industria radiofonica dobbiamo essere in grado di abbinare i set di strumenti offerti dalla tecnologia per dimostrare il valore della radio e tarare il ROI sulla base dell’evoluzione commerciale in corso. Dobbiamo dimostrare le che la Radio è competitiva con gli strumenti digitali, senza fingere che non esista. La radio non deve essere alternativa al digitale: ne deve essere parte”, conclude Eric Rhoads. (E.G. per NL)