Ha suscitato un certo clamore tra gli addetti ai lavori questa immagine tratta da una ricerca basata sull’elaborazione di dati Audiweb: al di là delle prestazioni dei singoli player, riteniamo utile riportare l’attenzione su alcuni aspetti che potrebbero non essere noti ai più, trattandosi di un contesto appena nato.La metrica che è stata usata per pesare queste performance è la cosiddetta Unique Audience, cioè il numero di individui (qui espressi in migliaia) che hanno utilizzato un device connesso a Internet durante il periodo analizzato; sebbene sia una metrica consolidata per misurare il mondo Digital, non è quella codificata internazionalmente da Inserzionisti e Regolatori (IAB, Agcom, EGTA) per il Digital Audio, che impiega un’altra unità di misura, quale il numero di sessioni audio dalla durata di almeno 1’ erogate in un determinato intervallo di tempo, solitamente un mese, detta AAS, ovvero Average Active Session.
Questo cambia radicalmente lo scenario, e non solo relativamente all’effettiva rilevanza di questa ricerca ai fini di stimare le audience in streaming, quanto dal punto di vista delle prospettive di business che si aprono a chi opera nel Digital Audio: per dire, considerando i 5 milioni di Unique Audience di Spotify e ipotizzando una media di 2 sessioni al giorno da parte di ogni Utente, se le moltiplicassimo per 30 giorni otterremmo un potenziale di 300.000.000 session audio/mese.
La vendita del Digital Audio ha presupposti, regole e metriche totalmente diverse da quelle della radio tradizionale: non si compravende “a spot” perché le contemporaneità all’ascolto, con buona pace di chi approccia il Digital con una forma mentis “analogica”, non hanno alcun senso parlando di connessioni on-demand.
In questo contesto si vendono e acquistano Audio Impression con la valuta tipica del Digital, il cosiddetto CPM (Cost Per Mille), che hanno un valore molto più elevato di uno spot tradizionale date le sue caratteristiche potenziali di targetizzazione e misurabilità.
Che ne possiamo dedurre, noi che, pur plaudendo Spotify, tifiamo per l’Industria Radiofonica italiana?
1 si è creato un nuovo mercato, dotato di Regole, Tecnologie e Competenze;
2 la Radio non può più lasciare ad una Tech Company, quale quella di Daniel Ek si definisce, il predominio pressoché assoluto nella distribuzione – e valorizzazione – di contenuti audio in modalità on-demand, ma deve rifocalizzarsi sull’essenza delle proprie competenze, cioè la capacità di selezionare e rendere disponibili, su tutte le piattaforme, contenuti audio in grado di soddisfare Ascoltatori ed Inserzionisti: curation, la definiscono quelli che ne sanno, e per quanto ci riguarda saremo sempre convinti che “quelli della Radio” valgano enne mila algoritmi.
Sopratutto, l’IP Radio, ovvero la ritrasmissione in streaming dei programmi diffusi via FM e DAB, rappresenta già oggi una nuova linea di ricavi perfettamente complementare a quella tradizionale: ė tutto pronto, a partire dagli Investimenti pubblicitari.
A breve quindi, i protagonisti della nostra Industry si troveranno difronte al dilemma che caratterizza quest’epoca di Digital Revolution: difendere il presente o, seppur con tutte le accortezze del caso, affrontare il futuro (molto vicino, peraltro)? Nel dubbio, chiedere a Zia TV e Nonna Stampa. (Mirko Lagonegro)