Stare coi piedi sulle nuvole e non vivere sulla terra, se non si vuol morire di fantasia ancorati ad un mondo che a breve non esisterà più.
Diciamocelo francamente: a pochi piacciono i cambiamenti epocali, le rivoluzioni, soprattutto quelle socioculturali e, perché no, anche tecnologiche.
Il passato è confortevole, caldo, magari difficile e duro, ma certamente certo.
Il futuro, viceversa, è per definizione imprevedibile, difficilmente controllabile, intrigante, ma sicuramente insicuro.
Da questa condizione, assolutamente umana, nascono le resistenze che si frappongono tra il vecchio ed il nuovo, tra l’antico ed il moderno.
Non fa naturalmente eccezione il medium radiofonico, chiamato in questo ultimo periodo a riscrivere, giocoforza, la propria condizione alla vigilia di una rivoluzione copernicana.La radio sta cambiando pelle e lo fa per sopravvivere in un contesto del tutto differente da quello in cui è nata, cresciuta ed ha prosperato.
Nessuno ha l’ardire di sostenere che il mezzo di comunicazione elettronica più antico si estinguerà; ma che muterà radicalmente, questo sì, è un dato di fatto; e chiudere gli occhi davanti all’evidenza non aiuterà ad adattarsi ai cambiamenti.
Primo dato oggettivo: fra 10-15 anni il vettore unico multimediale (testo, video, audio) sarà l’IP; nell’interregno tra oggi ed allora conviveranno più carrier convergenti che, nel caso della radio, sono: FM, DAB+, DTT, sat e, appunto, web. La multipiattaforma, in una.Secondo elemento certo: la radio si deve ibridizzare a livello sensoriale. Chi pensa ancora che la forza del medium stia nella sua atavica capacità di evocare fantasie più o meno ancestrali proprio grazie al suo (originario) limite – l’assenza della componente visiva – attesta la perdita di connessione con la realtà socio-culturale-tecnologica: le nuove generazioni non concepiscono il monosensoriale, avendo permeato la propria ridotta esistenza con elementi multisensoriali. Perché limitarsi all’audio quando si può avere anche l’addendum visivo? YouTube docet. Hybrid radio sensoriale, in definitiva.
Terzo fatto: i nuovi media profilano l’utente e tarano la somministrazione dell’offerta sulla base delle sue effettive richieste. Perché la radio non dovrebbe soggiacere a questa regola di mercato? La musica la sanno offrire tutti (qualcuno più di altri la saprà scegliere ed organizzare, ma è impossibile che una playlist sia adattabile ad ogni gusto personale: ci sarà sempre una variante soggettiva); allora perché limitarsi ad un solo contenuto cercando di limarlo e smussarlo per adattarlo ad un pubblico quanto più vasto possibile, inseguendo l’utopico sogno di accontentare tutti? Meglio pertanto moltiplicare l’offerta, segmentandola in più sottoprodotti uniti da un medesimo brand, sfruttando le opportunità offerte da una capacità trasmissiva virtualmente infinita: quella del digitale. Il tutto, ovviamente e beninteso, condito da quegli elementi di originalità che non sono replicabili dai software, cioè i contenuti autenticamente umani (ergo, l’esternazione del pensiero creativo nelle sue varie direzioni). Brand bouquet, in pratica. Il tutto, ça va sans dire, in attesa della definitiva rivoluzione: quella della radio dai contenuti originali, uguali per tutti, salva la musica, personalizzata sui gusti del singolo ascoltatore, ad esclusione ovviamente delle novità, che rimarranno appannaggio dei selezionatori a monte.Quarto elemento di cambiamento: le formule pubblicitarie. Che la pubblicità condizioni l’utente non è certo una constatazione figlia di una novità introdotta dai media di nuova generazione; ma che lo stimolo all’acquisto sia personalizzato (ad personam, quindi), questa sì che è un’innovazione. La pubblicità tradizionale spinge il consumatore a comprare un prodotto seguendo le indicazione di un medium quale guida. La pubblicità della nuvola crea l’esigenza di un bene/servizio sulla base di un’alea di desiderabilità creata intorno al singolo utente e non alla massa. In sintesi: non “mass marketing”, ma “one to one marketing”, un condizionamento personalizzato, specifico.
Quinta variante: la radio del futuro sarà sempre più presente all’esterno dello studio e del device di ricezione. La gestione degli eventi sarà non solo una delle maggiori fonti di ricavi (già oggi per le emittenti locali più evolute rappresenta oltre il 50% del volume d’affari), ma anche una forma d’interazione con gli stessi inserzionisti e col pubblico. La radio “reale” che accompagnerà quella virtuale, insomma.
In questo contesto di innovazione, che chiamiamo Radio 4.0, non mutano solo la tecnologia e l’approccio socioculturale-economico, ma anche le opportunità professionali.
Il conduttore radiofonico tradizionale, l’antico pubblicitario, il tecnico, il creativo dello studio di produzione e l’editore stesso devono cambiare insieme al mezzo.Chi sta davanti al microfono, sta anche davanti ad una telecamera e non può più mettersi le dita nel naso, stimolando il pubblico solo con le proprie capacità oratorie: serve una nuova formazione, mutuando non tanto le esperienze di conduzione televisiva, ma quelle degli youtuber, perché la radio del futuro sarà anche e soprattutto in pillole podcastate.
Il pubblicitario vivrà sempre di più di digital adv e di collocazione sul mercato degli eventi: serviranno quindi, anche in questo caso, approcci del tutto inediti che manderanno in pensione il venditore di spot.
Il tecnico di alta frequenza, se non lavorerà per le compagnie telefoniche, dovrà riconvertirsi: non guarderà più le nuvole dall’alto del traliccio sul quale si è arrampicato negli ultimi decenni, ma vivrà sulla nuvola stessa, gestendo tutte le nuove problematiche legate al clouding (che sono tante e specifiche).
Gli studi di produzione audio, se vorranno continuare a fornire servizi adatti alla nuova radio, dovranno saper gestire la nuova componente sensoriale (video), realizzando spot, liner, station break, bumper, ecc. in forma audiovisiva e creando le compensazioni video per contributi audio che non ne dispongono (esempio alcuni contenuti informativi, brani privi di videoclip, surrogati video per esigenze specifiche, non ultime quelle dei diritti d’autore e diritti connessi). Un esempio in tal senso è quello di Cluster Adv di Milano di Alberto Zanni, che ha introdotto un service per la realizzazione di bumper video per la visual radio (di cui riportiamo due campioni).
Infine l’editore: quest’ultimo è quello che più di tutti sarà chiamato a cambiare, dovendo mutare la propria prospettiva in maniera integrale. Il più importante cambiamento, in realtà, riguarderà la sua identità stessa: troppo spesso abbiamo chiamato editore quello che in realtà era un mero operatore di rete. Ecco, nella Radio 4.0 l’editore sarà l’imprenditore della somministrazione dei contenuti. Non il titolare del ferro. (M.L. per NL)