C’è un’arma micidiale che salverà la Radio nella guerra in corso con Spotify e compagnia cantante.
Uno strumento invincibile, già impiegato con successo dalla tv lineare nella guerra contro la tv on demand; un mezzo bellico tanto potente da costringere l’avversario ad una tregua preliminare alla definizione delle regole per una opportuna spartizione del mercato.
La madre di tutte le bombe, davanti alla quale anche Google ha dovuto piegarsi, rimodulando le strategie riguardo YouTube.
La noia.
Già, la noia (termine derivato dal latino “in odio”, che già la dice lunga); quello stato di demotivazione, temporanea o duratura, nato dall’assenza di azione, dall’ozio o dall’essere impegnato in un’attività sostenuta da stimoli che si recepiscono come ripetitivi o monotoni o, comunque, contrari a quelli che si reputano più confacenti alle proprie inclinazioni e capacità. Quando la noia assume le proporzioni di una sensazione più accentuata e dolorosa si parla di tedio.
Ed è quello che, prima o poi, prende tutti noi davanti all’eccesso di scelta offerta al nostro libero arbitrio: troppo significa, alla fine, nulla.
Ti prende nei grandi magazzini, nei negozi enormi e dopo un po’ che navighi su YouTube, saltellando da una categoria all’altra a seguito dei continui suggerimenti, con l’effetto che da quel che cercavi sei giunto al versante quasi opposto. Anzi, spesso proprio opposto, perché l’algoritmo di Google opera con i criteri “simile”, “sinonimo”, ma anche “contrario”, ben conoscendo l’animo ondivago e contraddittorio dell’uomo.La noia spinge il telespettatore della pay per view a tornare tra le braccia della tv tradizionale che sceglie per lui, sollevandolo dall’arduo compito di selezionare un contenuto che non sarà mai sufficientemente soddisfacente in un mare magnum di offerte. Perché accontentarsi di un film quando ce ne potrebbe essere uno migliore? Meglio continuare la ricerca… Finché l’approfondimento spasmodico verso il meglio sarà così impegnativo da diventare demotivante.
Con la musica è la stessa cosa: bella la possibilità di far selezionare i brani musicali da un software come Spotify, che ti conosce probabilmente meglio di tua madre e sicuramente di te stesso.
Ma che noia la perfezione; che banalità la prevedibilità della certezza. Vuoi mettere lo stimolo dell’evanescenza, del dubbio, dell’insicurezza?
Ecco perché la radio con la musica preselezionata da qualcuno alla fonte, che intercetta i tuoi gusti ma non fino ad assimilarli facendoli propri, con una perfezione nauseante, alla lunga vince.
A ben pensarci, ci siamo già passati: prima le audiocassette personalizzate, poi i cd masterizzati con le nostre canzoni preferite, infine le pen drive con centinaia di titoli. Tutti strumenti accantonati per poi privilegiare le scelte di programmatori che ci studiano, ci profilano, ci conoscono. Ma non sono così invadenti come l’algoritmo di Google. (M.L. per NL)