Continua a far discutere il cd. “Rapporto Miller“, lo studio della New York University del prof. Larry Miller, personalità riconosciuta in tema di new media ed in particolare di streaming on demand.
Ricordiamo che le criticità principali avanzate da Miller riguardavano la totale perdita tra gli ascoltatori radiofonici della cd. “Generazione Z”, cioè i nati dopo il 1990 e prima del 2000, l’incapacità del medium di lanciare nuovi successi musicali (quantomeno al pari di quanto storicamente faceva e comunque in relazione a quanto invece fanno ora le nuove piattaforme online) e la concorrenza emergente dalla presenza sulle auto interconnesse delle “app sul cruscotto” (il riferimento è agli aggregatori musicali, come Spotify e Pandora).
Se della pronta reazione dei radiofonici riuniti nell’associazione di categoria NAB abbiamo già dato conto, ospitiamo questa volta il contributo di Bob McCurdy, vicepresidente della Beasley Broadcast Group Inc., società con sede in Florida proprietaria di 63 stazioni radiofoniche.
L’osservazione di McCurdy al Rapporto Miller può essere così riassunto: è vero che la Generazione Z snobba la Radio, ma i giovani, acquisita maturità ed indipendenza, tornano ad esserne fruitori (considerazione più volte espressa anche da altri osservatori su queste pagine, del resto). Il ragionamento del manager del network statunitense si fonda sul fatto che le piattaforme musicali di streaming on demand non offrono il valore aggiunto verso i quali le generazioni più giovani sono indifferenti, ma che diventano essenziali in età adulta: l’informazione e l’intrattenimento. Inoltre, è fuori discussione che la radio debba evolvere contenutisticamente, strategicamente, culturalmente, socialmente ma soprattutto tecnologicamente; ma non è vero che già non lo stia facendo (in questo caso il riferimento tecnico è all’IP Broadcasting ed alla cd. “multipiattaforma”, mentre quello contenutistico è al cambio di paradigma da “poche radio per molti utenti” a “molte radio per pochi utenti”, attraverso la declinazione del brand bouquet).
Il problema è, infatti, proprio di stampo evolutivo: “La radio e tutti i media in generale non sono i soli soggetti ad avere la necessità di adattarsi ad un panorama in continua evoluzione digitale, sociale, tecnologico o economico. Come spesso ribadisce Scott Burnell (Ford): “o si evolve o si muore” (McCurdy si riferisce in tal senso anche ad altre critiche mosse ai radiofonici USA, in particolare a riguardo dell’impatto delle auto interconnesse, ndr). “D’altra parte ci sono anche aspetti da valutare: un terzo di persone non desidera avere auto di proprietà; la capacità di Spotify di generare reddito è ancora dubbia; gli effetti della rivoluzione Amazon sono ancora da valutare“, chiosa McCurdy.
“Il Rapporto Miller enfatizza la fuga dalla Radio della Generazione Z, ma non dice se le abitudini di quel target cambino con la crescita. Ci sono infatti dati che sostengono che i giovani quando entrano nel mondo del lavoro cambiano profondamente i loro stili di vita”, continua l’esponente di Beasley Broadcast Group Inc.
“Per vedere il futuro, consulta il passato; e mentre il passato non sempre prevede con precisione il futuro, fornisce un buon barometro per quanto riguarda una capacità aziendale o industriale di evolversi e di affrontare le sfide. La seguente linea temporale conferma che la radio si è effettivamente evoluta e si è adattata nel corso dei decenni, talvolta drammaticamente, per mantenere la sua identità tra i media:
1) 1940: debutta la prima stazione televisiva;
2) 1948-1952: la tv prolifera e vi è la migrazione delle star radiofoniche verso lo schermo;
3) 1952, Titolo della rivista Billboard: “La Radio è morta …”;
4) 1962: viene introdotto il lettore di cassette audio;
5) 1965: arriva lo stereo 8;
6) 1975: esplode la popolarità del CB;
7) 1979: Sony introduce il Walkman;
8) 1981: debutta MTV;
9) 1982: esordisce il CD;
10) 1996: gli utenti di Home PC iniziano a condividere musica digitale (Napster, ecc.);
11) 1999: introduzione dello streaming audio;
12) 2000: viene lanciato Pandora;
13) 2001: debutto di XM Satellite;
14) 2002: debutto della radio satellitare di Sirius;
15) 2004: nascita del podcasting;
16) 2006: debutta Spotify;
17) 2007: esordisce l’iPhone;
18) 2009: si sviluppa lo streaming on demand con Rdio, 8Tracks, Rhapsody, Last.FM, Live 365, Grooveshark, ecc.;
19) 2011: Google entra nell’audio con Google Play Music;
20) 2013: debutta la radio di iTunes;
21) 2014: lancio di Beats
22) 2014: Apple acquista Beats
23) 2015: debutta Jay-Z’s Tidal;
24) 2015: Apple Music rilancia con Beats;
25) 2015: Google lancia l’ad-supported radio service;
26) 2016: debutta Amazon Music;
27) 2016: Deezer esordisce negli Stati Uniti
28) 2017: Pandora lancia l’abbonamento premium;
29) 2017: Pandora viene venduto, pubblico in declino.
La radio come industria si sta evolvendo in modo aggressivo e migliora le sue risorse audio e digitali per affrontare il futuro. È la legge della sopravvivenza e dei più forti, dei più veloci, dei più intelligenti e dei più agili in qualsiasi ecosistema aziendale. Le sfide della radio non sono più scoraggianti di quelle che affrontano altri media e industrie: il nostro futuro è luminoso, finché rimaniamo sensibili alle esigenze dei nostri ascoltatori ed allineati agli sviluppi tecnologici“, conclude McCurdy. (E.G. per NL)