BBC radio, divisione radiofonica del servizio pubblico radiotelevisivo del Regno Unito, è da sempre in strenua lotta con le radio commerciali private sul versante degli ascolti.
Tuttavia, adesso sembra intenzionata a spostare l’attenzione su un altro target, diventando competitor delle piattaforme digitali di streaming on demand come Spotify e i servizi di podcast forniti, tra gli altri, da Apple.
Quindi, se è vero che la battaglia per l’audience tradizionale con le radio private che propongono grandi nomi nelle proprie trasmissioni (una su tutti, la LBC di Global, che tra i presentatori ha Nigel Farage) non si è mai risolta in favore della BBC, la radio pubblica britannica non alza bandiera bianca.
Piuttosto, sposta il fuoco, individuandolo nei servizi on-demand: “Non mi importa dello share – ha detto James Purnell, direttore di BBC radio – Non è importante battere Global, Bauer o Wireless nel RAJAR [Radio Joint Audience Research, l’equivalente del nostro Ter, ndr]. Ciò che è importante è il futuro della radio britannica”. E il futuro sarebbe indicato dallo spostamento del comportamento e delle preferenze di chi consuma contenuti radio (soprattutto dei consumatori più giovani), sempre più verso l’on-demand con sottoscrizione in abbonamento e, quindi, con la possibilità di ascoltare il contenuto preferito in ogni momento e senza interruzioni pubblicitarie.
Questo implica, per la BBC radio che vuole ripensare se stessa, che il competitor non è più la vasta rete di radio commerciali che già l’hanno superata, ma Spotify o Deezer. E comporta, soprattutto, il ripensamento del modello, sempre meno tradizionale, per poter cavalcare le possibilità offerte da internet e soddisfare i gusti degli ascoltatori del futuro.
La stessa esigenza, secondo Purnell, la si riscontra in campo televisivo dato l’avvento di Netflix: anche in questo settore, secondo il dirigente della BBC, sarà opportuno ripensare ai modelli e all’offerta, per svolgere al meglio il servizio, restare competitivi e, soprattutto, garantire il pluralismo a fronte dell’invasione di contenuti americani. Insomma, lo stesso segnale lanciato nei giorni scorsi dal ministro allo Sviluppo Economico Luigi Di Maio. (P.B. per NL)