“La mission di Tune In è quella di fornire agli ascoltatori qualsiasi contenuto radio possibile, comunque e dovunque”, ha dichiarato recentemente John Donham, Chief Executive Officer di Tune In, il principale aggregatore di flussi streaming radiofonici del mondo, commentando i dati operativi del 2018 ad azionisti e stampa.
Donham ha poi aggiunto: “Creando e collaborando con content provider di qualità, integrandoci con i principali partner tecnologici, conoscendo sempre meglio il nostro pubblico, che ormai si compone di 75 mln di utenti nel mondo, non potremmo essere più entusiasti di ciò che ci riserva il futuro”.
Dopo una fase di difficoltà strutturale di crescita ed un duro confronto con alcuni dei principali player radiofonici poco propensi a veder mediata la fruizione dei propri contenuti da un aggregatore indipendente, il principale collettore di flussi streaming del mondo sembra aver imboccato la giusta via.
“In un’offerta unica nel suo genere, Tune In Premium offre ora agli abbonati l’accesso senza pubblicità a notizie di alto livello tra cui CNBC, Fox News Talk e MSNBC, aggiungendo l’offerta già ineguagliata di tutti i generi che gli ascoltatori richiedono”, ha spiegato Donham dall’headquarter della società californiana, ricordando come Tune In sia “l’unico servizio di streaming audio che offre live play-by-play da NBA, MLB, NHL e NFL nonché programmi radio, news, podcast e musica a livello globale”.
Del resto, l’approccio dei broadcaster (e delle major discografiche) pare mutato: dopo una fase di ostruzionismo, consapevoli dell’importanza assunta dal servizio di live streaming, molti player radiofonici si stanno riavvicinando a Tune In. Anche perché ad un OTT come Spotify, che ha lanciato l’attacco al car audio entertainment (fino ad ora predominio assoluto della Radio) occorre rispondere con un altro OTT.
E Tune In per le Radio potrebbe essere la risposta giusta verso quel pericolo insieme a quella dei brand bouquet (strategia che peraltro con Tune In ed altri aggregatori potrebbe trovare un forte potenziamento).
“In quest’ottica va ascritto l’accordo di partnership pluriennale che ha portato tutte le 441 stazioni di proprietà e gestione di Cumulus Media in 90 mercati degli Stati Uniti alla piattaforma Tune In, nonché la distribuzione dei podcast da Westwood One Podcast Network“, ha continuato Donham
Ma Tune In nell’ultimo anno ha investito molto anche sull’integrazione di dispositivi ed app terze, favorendo la definizione di 200 accordi con altrettanti partner che hanno garantito oltre 2 miliardi di ore di ascolto totali ed aumentato gli ascoltatori di oltre il 40% nel 2018.
“Tune In è attualmente l’unico servizio di streaming audio in grado di vantare l’integrazione nativa globale attraverso i principali servizi di assistenza vocale come Amazon Alexa, Google Assistant e Microsoft Cortana, oltre alla predisposizione all’interno di ecosistemi di smart speaker come Sonos e Bose Soundtouch.
Nel marzo 2018, la compagnia ha inoltre lanciato TuneIn Live, piattaforma captive SOD pay che consente agli utenti di Alexa di ascoltare contenuti audio premium con interrogazione vocale.
L’app di Tune In è disponibile anche su piattaforme chiave come lettori e TV Roku, Xbox One, Amazon Fire TV, TV Samsung, TV Android, Google Chromecast e vari dispositivi indossabili, tra cui Apple Watch (recentemente ridisegnato).
Chiaramente l’aggregatore coltiva con grande attenzione il mercato dell’automotive, dove la Radio raccoglie l’80% della sua audience, definendo relazioni con aziende di tutto il settore automobilistico su una vasta gamma di vetture – equipaggiate con CarPlay e Android Auto -, gestite con comandi touch o vocali, mirrorlink con smartphone o integrazioni dirette nei dispositivi di bordo o pilotate da Amazon Echo Car.
Se le cose andranno come gli attuali segnali sembrano lasciar presagire, nel 2019 assisteremo quindi ad una forte inversione di tendenza rispetto al passato, vedendo seduti intorno allo stesso tavolo John Donham e quei superplayer radiofonici che fino a poco tempo fa consideravano l’opera di Tune In e degli altri aggregatori indipendenti una forma di parassitismo da combattere a tutti costi.
Pur consapevoli della necessità di dotarsi di piattaforme indipendenti per la gestione delle interazioni con gli smart speaker e l’intelligenza artificiale in generale (soprattutto per i contenuti radiofonici del futuro, cioè i podcast), l’attacco di Spotify e di altri servizi di streaming on demand che puntano all’automotive impone la necessità di mettere da parte passate prese di posizioni pur – va detto – non sguarnite di qualche fondamento. (M.L. per NL)