Siamo stati i primi a parlarne qualche anno fa: il futuro radiofonico in un universo multipiattaforma, che gradualmente evolverà verso un sistema webcentrico (quindi esclusivamente IP) intorno al 2030, vedrà quale problema principale non più quello, in parte ancora attuale, di investire in ferro ed asset amministrativi, cioè infrastrutture diffusive e frequenze (FM), ma in contenuti e, soprattutto, rintracciabilità.
“Fuori discussione che la singola app radiofonica morirà a breve a favore di piattaforme aggregatrici che presidieranno i cruscotti delle auto interconnesse e gli smartphone nel mobile e le smart tv e gli smart speaker nell’indoor, il problema sarà decidere se affidarsi ad eventuali collettori consortili (di tutte le emittenti), oppure terzi, cioè indipendenti, come è il caso di TuneIn o FM World, o ancora ad aggregatori captive, cioè che declinano il brand principale e quelli derivati di un grande gruppo radiofonico”, commenta Daniele D’Abrosca della practice Radio e Tv 4.0 di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico).
Scelta difficile, considerato che tutte hanno controindicazioni più o meno rilevanti: i consorzi hanno sempre dimostrato una lentezza organizzativa, gestionale e soprattutto decisionale, raramente compatibile con le dinamiche di un mondo in costante e rapidissima evoluzione come quello IP. Per converso, i recenti dissidi sulla gestione pubblicitaria dei preroll (lo spot audio all’apertura della app) di TuneIn, il più grande aggregatore di flussi streaming del mondo, ha posto numerose domande in capo agli editori.
La terza via, pure non scevra da limiti, è quella di soluzioni captive con aggregatori di contenuti esclusivamente propri (a patto di averli, ovviamente), sul modello di iHeart negli USA: collettori di centinaia di flussi streaming di un brand principale declinato in un bouquet derivato. In quest’ultima direzione sembra muoversi Radiomediaset, sulla scorta dell’esperienza del brand bouquet di Radio 105, R101, Virgin Radio, Radio MonteCarlo e Subasio; mentre la prima, quella associativa, sembra essere quella perseguita da Radio Rai, da RDS e da non meglio precisati altri soggetti attraverso l’iniziativa Radio Player.
“In realtà – continua D’Abrosca – la cautela spingerà gli editori a non privilegiare un’opzione rispetto alle altre due: pericolosissimo scendere da un aggregatore radicato, come TuneIn o, per parlare del mercato italiano, FM World. Il rischio che utenti sempre meno fidelizzati ad un brand non seguano l’emittente sul nuovo collettore è troppo alto. Un esempio su tutti viene dall’ambiente televisivo con Sky che ospiterà sulla propria piattaforma IP i contenuti dei concorrenti Spotify e DAZN, pure accessibili su IP. Non stiamo parlando di DTT e sat, ma di ambiente IP: la presenza di Spotify e DAZN sulla piattaforma di Sky è teoricamente inutile, posto che dalla stessa smart tv si può accedere a ciascuna di esse. Eppure il rischio che l’utente esca da un’app per entrare in un’altra (per poi magari rimanerci) è troppo elevato per correrlo”.La radio è un mezzo che per l’80% è fruito in mobilità, in auto in particolare: il passaggio ineludibile nei prossimi 10-15 anni dalla veicolazione dei contenuti prevalentemente in modulazione di frequenza a quella tramite dispositivi connessi a internet (emblematica, a riguardo, è la scomparsa dagli scaffali della grande distribuzione dei ricevitori FM) comporta il rischio di una polverizzazione dell’offerta, dove la potenza della diffusione dei trasmettitori lascerà il posto a quella del brand, ma soprattutto alla capacità di farsi individuare in mezzo a milioni di flussi streaming, peraltro non necessariamente radiofonici, dovendo porsi tra i competitor della radio anche i servizi di streaming on demand come Spotify, YouTube Music, Pandora (ora di proprietà di Sirius XM, di fatto un broadcaster), Apple Music, ecc.
“Come Consultmedia crediamo più in aggregatori indipendenti, agili e reattivi: la diatriba tra TuneIn ed alcuni player europei (così come quella con le major discografiche) è solo un incidente di percorso. Conviene ad entrambi un’alleanza, considerato che non è affatto chiaro chi aiuti chi. – osserva D’Abrosca – Per questo abbiamo definito una joint venture con 22HBG, società cui fa capo FM World, il primo aggregatore italiano di live streaming e podcast radiofonici, già orientato allo sviluppo sugli smart speaker Google Home ed Echo di Amazon, oltre che sull’automotive e quindi sulle auto interconnesse”.
“Dopo anni di studio ed osservazioni del mercato, abbiamo suggerito a 22HBG alcune opzioni strategiche che consentiranno di conciliare le esigenze degli editori e quelle degli utenti titolari dei device smart, rendendo sempre più efficace l’app FM World, primo collettore indipendente di contenuti radiofonici italiani. D’altro canto, le esperienze consortili in ambito DTT e DAB+ hanno mostrato i limiti della convivenza di più galli nello stesso pollaio e, quindi, siamo piuttosto scettici a riguardo della capacità di reggere nel tempo di aggregatori a titolarità diffusa. La lentezza mostrata da esperienze similari europee, che le hanno nel tempo marginalizzate sul mercato, è emblematica”, interviene Massimo Lualdi, avvocato della tech-law firm MCL Avvocati Associati, che gestisce in esclusiva l’Area Affari Legali di Consultmedia.
“La joint venture con Consultmedia, principale firma della consulenza strategica e giuridica radiofonica in Italia, ci consente di affrontare le grandi sfide che interesseranno il comparto da qui al 2022, con l’avvento della tecnologia 5G e il consolidamento degli smart speaker“, commenta Gianluca Busi di 22HBG a latere della firma dell’accordo di collaborazione.
“FM World nasce come aggregatore indipendente, che non ha quale core business la veicolazione di pubblicità in preroll, come in casi di soluzioni affini: non vogliamo entrare in competizione sugli stessi clienti con le radio. Il nostro ruolo è quello di vettori/collettori, non di piattaforme di digital adv. Per questo il nostro approccio è diverso“, annota Busi.
“Crediamo molto nella collaborazione con 22HBG: si tratta di un rapporto che affonda le radici in relazioni che si sono solidificate in due anni, duranti i quali i nostri enti si sono conosciuti e misurati. Nell’ultimo anno diversi aggregatori ci avevano chiesto di affiancare il logo Consultmedia alle loro proposte alle emittenti, ma abbiamo dovuto ponderare la scelta, che è poi stata dirottata sull’accordo con l’azienda di Gianluca Busi“, interviene Lualdi.
“Il prossimo passo sarà presentare le soluzioni premium per FM World, che consentiranno di upgradare molte funzioni per le radio che lo desiderano e sviluppare il podcasting sugli smart speaker, area di business molto importante“, conclude Daniele D’Abrosca di Consultmedia. (E.G. per NL)