Nella Relazione annuale 2019 sull’attività svolta e sui programmi di lavoro, il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Marcello Cardani entra nel merito dei profondi cambiamenti che stanno interessando il settore radiotelevisivo in vista della rivoluzione del Twenty Twenty.
“Sulla pianificazione delle frequenze, sul governo dell’etere, sulle regole per le procedure di assegnazione delle risorse agli operatori, sulle faticose operazioni di refarming compiute allo scopo di tenere la gestione dello spettro all’altezza delle sfide tecnologiche e di mercato attuali, siamo convinti di aver compiuto un buon lavoro, assieme al MISE e alla Fondazione Bordoni”, illustra Cardani.
“La legge di bilancio 2018 e poi – anche all’esito di una nostra segnalazione al Governo – quella per il 2019, hanno disciplinato il processo che, entro il 2022, porterà ad assegnare agli operatori che forniscono servizi di comunicazione elettronica a banda larga senza fili, le frequenze in banda 700 MHz, storicamente utilizzate per le diffusioni televisive – si legge nella Relazione 2019 dell’Agcom -. Il rilascio di queste frequenze sta comportando un complesso riassetto del sistema radiotelevisivo su piattaforma digitale terrestre alla cui soluzione l’Autorità lavora da tempo.
Abbiamo affrontato, insieme al MISE, una faticosa operazione di coordinamento internazionale intesa a superare numerosi problemi interferenziali che persistevano da moltissimi anni.
Abbiamo dovuto effettuare una pianificazione entro vincoli normativi molto stringenti. Possiamo dire oggi di essere in dirittura d’arrivo e di aver svolto la nostra parte per determinare le condizioni tecniche e di mercato, sia per garantire il futuro delle trasmissioni televisive in tecnica digitale che per favorire il lancio dei servizi e dell’offerta di prodotti in mobilità in tecnologia 5G”.
Nell’esposizione, Cardani tratta anche il tema dello sviluppo della radio digitale (DAB+), sino ad ora figlia di un Dio minore (la Tv prima, il 5G dopo).
“La legge di bilancio 2019 ha finalmente creato le condizioni adeguate, da noi lungamente auspicate, per la completa digitalizzazione della rete radiofonica nazionale e locale”, enfatizza il presidente dell’Autorità.
“L’Autorità, dopo una sequenza di delibere che parte nel 2012, sta rivedendo e aggiornando proprio in queste settimane il relativo regolamento. Presto, e finalmente, anche il digitale radiofonico smetterà di essere un progetto di lavoro, per diventare un pezzo dell’agenda digitale italiana, nella prospettiva dell’innovazione tecnologica del Paese”, espone Cardani.
In realtà, l’effettiva partenza del DAB+ – che tuttavia non potrà essere tale fintanto che persisterà la sperequazione della diffusione tra emittenti nazionali e locali, per le quali non sono ancora state pianificate le frequenze in importantissimi bacini (come la Lombardia) – è ovviamente solo un aspetto dei profondi mutamenti tecnologici in corso.
Non va infatti dimenticato che la Radio – così come la tv, del resto – si sta sviluppando nella direzione della multipiattaforma che entro 10/15 anni si ridurrà alla piattaforma unica IP.
Un processo ineludibile, quello dell’ibridazione radiotelevisiva e della declinazione su più vettori distributivi dei contenuti, che comporta importanti investimenti economici, revisione integrale di modelli di business ed editoriali ed annichilimento di asset aziendali fino a dieci anni fa considerati (erroneamente) intoccabili.
E’ il caso degli impianti FM, che complice la scomparsa dei ricevitori FM nelle case, l’avvento della radio digitale DAB+ e IP (con le connected car) hanno accentuato la svalutazione in corso dal 2009.
Una tendenza che per primo questo periodico aveva teorizzato, indicandone con una precisione – poi confermata dai fatti – anche il trend: 5-10% annuo fino all’azzeramento entro il 2030.
Così sta accadendo, con l’aggravante di una fortissima accelerazione nell’ultimo anno.
Prendiamo il caso di Milano: un impianto FM cittadino era arrivato a valere nel 2006 fino a 4 milioni di euro. Lo stesso impianto oggi è valutato sul mercato 600.000 euro.
E l’anno prossimo subirà una svalutazione ulteriore di circa 30-50.000 euro e così via.
Un effetto, quella diminuzione dei valori di asset strumentali nelle aziende editoriali, già vissuto con il progressivo crollo delle valorizzazioni infrastrutturali delle aziende delle carta stampata. Le quali, come accade oggi con la Radio, hanno tuttavia – nei casi virtuosi ovviamente – recuperato in valorizzazioni digitali i deprezzamenti analogici. (M.L. per NL)