L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella sua articolata indagine sul settore radiofonico italiano, evidenzia “il crescente sviluppo di piattaforme che attraverso la rete Internet offrono un bundle di prodotti e servizi estremamente ampio e differenziato disponibile nella versione gratuita ovvero in quella a pagamento con l’offerta di servizi aggiuntivi al cui interno è possibile riscontrare l’offerta di contenuti musicali e/o servizi radiofonici”.L’innovazione tecnologica, precisa l’Agcom “ha impatto anche nella modalità di fruizione dei servizi radiofonici in mobilità, che ormai avviene non solo per mezzo dei dispositivi installati nelle automobili (autoradio), ma sempre più spesso attraverso smartphone e tablet. Per mezzo di questi device è possibile, sia ascoltare le tradizionali radio analogiche, grazie a chip preinseriti che consentono di accedere tramite il telefono alle radio in FM e in DAB+, sia fruire dei servizi in streaming tramite la rete Internet offerti delle stesse emittenti (grazie ad aggregatori o ad app proprietarie) o di web radio native digitali”. La multipiattaforma (o meglio, l’integrazione delle piattaforme), è, secondo Agcom (che già aveva battuto pesantemente sul punto qualche mese fa), un fenomeno di cui occorre prendere atto: “Con lo sviluppo delle web radio e dello streaming in simulcast, ad oggi entrambi fruibili in casa e in ufficio da pc e anche dalle c.d. connected TV, stanno nascendo dispositivi radio che si collegano direttamente alla rete Internet per ricevere servizi IP based, grazie ad aggregatori captive o indipendenti (ad esempio TuneIn o Online Radio Box), che raccolgono centinaia di web radio”, ma che, mette in guardia l’Agcom “difficilmente permettono l’inserimento di altre stazioni a discrezione del fruitore”.Gli aggregatori, in definitiva, saranno il nodo di smistamento delle centinaia di migliaia di flussi streaming (ad oggi 500.000, secondo stime per difetto) diversamente difficilmente individuabili nel web. Per effettuare un parallelismo estremo, ma non del tutto improprio, è come non essere indicizzati da Google: si è presenti sulla rete, ma è arduo essere individuati e quindi emergere dal deep web.
Che il dashboard delle auto interconnesse vedrà la presenza di non più di due o tre icone che rimandano ad aggregatori captive (di proprietà delle emittenti magari consorziate) e/o indipendenti (FM World, Tune In, My Tuner) è scontato: diversamente si dovrebbe ipotizzare uno schermo disseminato di icone delle singole radio; il che appare decisamente improbabile (anche er lo smartphone, va detto). Altrettanto scontato è che dai maxi aggregatori si possa poi accedere ai brand bouquet, altro elemento caratterizzante della Radio 4.0 che sta prendendo piede, come dimostrano gli indirizzi presi da Radiomediaset e RAI (ma un esempio in tal senso è anche la geniale multi app di Radio Radio, una delle emittenti che più sta investendo nella direzione della Radio 4.0).
Posto quindi che la presenza sui principali aggregatori costituirà l’essenzialità della vita sull’IP delle stazioni, la domanda è: occorrerà pagare un pedaggio?
La risposta, naturalmente, è: dipende. Su Tune In la presenza è costituita dalla presa d’atto di una gestione commerciale indipendente dell’aggregatore, mediante l’inserimento di pubblicità audio in pre-roll (cioè prima dell’avvio dell’app della singola stazione) e di banner pubblicitari più o meno invasivi sul display dello smartphone (e quindi anche del cruscotto dell’auto interconnessa).Sull’italico FM World per ora non sono presenti formule pubblicitarie, ma è logico che la 22HBG, la società che gestisce l’aggregatore, prima o poi dovrà mettere a frutto l’investimento, anche se non necessariamente nella direzione dell’advertising. Una soluzione diversa che diversi altri aggregatori stanno studiando è infatti quella di un minimo fee d’ingresso e di soluzioni premium che garantiscono suggerimenti all’utente o “scalate” delle emittenti in termini di visibilità.
Quel che è certo è che, anche per esigenze di gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi, tutte le emittenti saranno soggette al geoblocking (anche per evitare responsabilità civili dell’aggregatore), con la conseguenza che le 500.000 emittenti IP potenzialmente sintonizzabili si ridurranno a quelle attive nel territorio nazionale (che nel caso italiano corrispondono comunque a circa 2000 stazioni).
Ma la domanda cruciale è un’altra: le emittenti esistenti gestiranno il loro futuro, consorziandosi per la realizzazione di un aggregatore comune o, ancora una volta, opereranno in forma scoordinata ed indipendente?. (M.L. per NL)