“Siamo particolarmente soddisfatti anche della progressione nel corso del 2018, visto che nel secondo semestre Radio 24 ha segnato un +7% rispetto al primo semestre, registrando un ottimo apprezzamento del nuovo palinsesto”.
Così ha commentato i dati 2018 del’indagine TER (Tavolo Editori Radio) Sebastiano Barisoni, vicedirettore esecutivo di Radio 24.
“Risulta evidente l’andamento eccezionalmente positivo di Radio 24 che è frutto della validità dei programmi e della qualità dei notiziari. Un dato ancor più significativo – gli ha fatto eco il direttore di Radio 24 e del Gruppo 24 Ore Fabio Tamburini – se inserito nel contesto di un Gruppo che sta valorizzando le sinergie tra le differenti testate e che sta realizzando la sua caratteristica più importante: la multimedialità. Questa è la forza del Gruppo 24 Ore e i risultati di Radio 24 ci spingono a proseguire sempre di più nell’offerta dell’informazione multimediale”.
“Questo straordinario successo editoriale è stato apprezzato anche dal mercato, visto che nel 2018 è stato conseguito un incremento particolarmente significativo della raccolta pubblicitaria. Un dato confermato anche nell’inizio del 2019 che ha il segno positivo”, è stato invece il commento di Federico Silvestri, direttore generale della concessionaria di pubblicità 24 Ore System.
In realtà il successo di Radio 24 era prevedibile (ed infatti era stato previsto anche su queste pagine), vista la tendenza del medium radiofonico, al pari di quello tv via etere (DTT), di orientarsi verso target più adulti con layout incentrati su contenuti a tutto discapito di formati prevalentemente musicali non specifici che soffrono della concorrenza dei servizi di streaming audio on demand come Spotify, YouTube, Apple Music, ecc. e per i quali la risposta adottata (in tutto il mondo) sono i brand bouquet IP, cataloghi di radio tematiche che spostano la competizione sul medesimo terreno.
Non stupisce pertanto che altri gruppi che soffrono di calo di gradimento di propri prodotti radio abbiano valutato la riconversione di marchi/palinsesti in affanno nella direzione di un formato all news.I grandi player che potrebbero sostenere, attraverso risorse giornalistiche sinergizzabili, i costi che un palinsesto come quello di Radio 24 comporterebbe e che hanno registrato maggiore sofferenza nell’ultima indagine d’ascolto (al di là degli scontati proclami sulla base di particolari letture dei dati) sono tre.
I primi due sono RAI (che deve fare i conti in particolare con la delicata situazione di Radio 2) e Radiomediaset, che ha riscontrato soddisfazione solo su Virgin Radio: estremamente deludente infatti è stata Radio 105 e la stessa RMC, pur considerando la trasformazione in corso, non ha performato come forse ci si attendeva, mentre R 101 continua a rimanere un prodotto inespresso.
Il terzo, ça va sans dire, è GEDI, che, pur con conti economici estremamente positivi per la divisione Radio (risultato del solo primo semestre 2018 positivo per 9 milioni di euro su 31,8 di fatturato ed un 2017 chiuso con 59 mln di fatturato e risultato operativo a 15,5 mln) è alle prese con una DeeJay che sul giorno medio non cresce, una m2o da rivoluzionare ad opera di Albertino ed un cantiere costante per Radio Capital.
Escludendo Radio RAI, che ha già deciso di investire sulla Radio 4.0 innestando contenuti informativi sui suoi prodotti verticali diffusi in multipiattaforma (IP, DTT e DAB+), per gli altri due gruppi una prospettazione come quella ipotizzata comporterebbe l’obbligo di intervenire su modelli radiofonici consolidati per i quali – nonostante l’oggettiva difficoltà sui numeri d’ascolto assoluti – una completa distruzione e ricostruzione determinerebbe gravi danni d’immagine, oltre che evidenti limitazioni operative.
Ma se sul mercato ci fosse una rete nazionale FM bella e pronta, già incentrata sull’informazione, pur con un modello su generis? Allora le cose potrebbe essere differenti: non si tratterebbe di ribaltare layout esistenti, ma di integrare il portafoglio delle emittenti attraverso un’operazione di M&A (merger and acquisition).
E Radio Radicale, che nell’era post Pannella naviga a vista, anche in proiezione di una progressiva riduzione delle contribuzioni pubbliche, potrebbe essere una soluzione sulla quale, secondo indiscrezioni raccolte da questo periodico, più di qualcuno starebbe facendo riflessioni.
Quella di Radio Radicale è una concessione nazionale di natura commerciale, dotata di un buon reticolo di impianti, anche se da integrare (ma la stessa Radio 24 non è al top come diffusione FM), su cui poter innestare un prodotto informativo di nuova generazione.
E, visto che la piattaforma FM ormai non pare più così essenziale per un prodotto come quello di Radio Radicale, una preservazione dello storico prodotto su DAB+, IP e soprattutto DTT potrebbe non venire esclusa tout court dal Partito.
“Come editore GEDI non avrebbe problemi Antitrust per acquistare altre emittenti ed allargare il suo peso. Ma al momento non c’è nessun dossier sui nostri tavoli“, aveva dichiarato qualche mese fa a Italia Oggi il direttore generale della divisione radio e tv di GEDI.
Lato Radiomediaset, invece, dopo la recente acquisizione di RMC sarebbe difficile confidare in un assenso dell’Antitrust per un nuovo deal nazionale.
Tuttavia non è affatto detto che altri soggetti, pur non dotati di risorse giornalistiche in house come quelle di GEDI e Mediaset ma di sufficiente liquidità, non possano valutare di integrare la propria offerta con un modello radiofonico tarato sullo schema di Radio 24.
Sono solo ipotesi costruite sulla base di voci, beninteso: i Radicali non hanno dichiarato al momento di voler cedere l’emittente, limitandosi a lanciare i consueti allarmi su una possibile chiusura in assenza di sostegno pubblico.
Ma se la riduzione dei contributi governativi all’editoria (trasversale, non solo carta stampata) fino all’azzeramento è un obiettivo dell’esecutivo, prima o poi da parte loro occorrerà fare i conti e valutare tutte le opzioni sul tavolo. (E.G. per NL)