A sostenerlo è uno studio svolto da due ricercatori della Oxford University i quali hanno dimostrato come un tale squilibrio (tra ricavi derivanti dalle vendite del quotidiano ed inserzioni) sia la causa principale dell’ondata di tagli all’organico che ha colpito il mondo dell’editoria – in particolare quella inglese.
Oggetto dell’analisi – commissionata dal Reuters Institute for the Study of Journalism – è l’industria dei quotidiani di diversi paesi nel mondo, tra cui USA, UK, Germania e Brasile. Dallo studio emerge che la crisi che affligge gran parte del settore editoriale di tutto il mondo è stata maggiormente accusata dalle testate ove la vendita di spazi pubblicitari rappresenta la quasi totalità dei ricavi, ed ha rilevato, inoltre, come tale periodo di difficoltà non è causato dall’avvento delle nuove tecnologie e dalla conseguente digitalizzazione dei giornali ma dal pericoloso legame con il mercato pubblicitario. Nei casi in cui, infatti, i ricavi pubblicitari si attestano attorno alla metà del totale dei ricavi, il quotidiano mantiene buone performance, mentre ove tale rapporto propende in misura maggiore a favore della pubblicità, le oscillazioni che colpiscono il mercato pubblicitario si riversano irrimediabilmente (e negativamente) anche sulla testata. Nei paesi anglosassoni i profitti pubblicitari incidono notevolmente sui ricavi totali. Infatti, nonostante in paesi come Stati Uniti, Germania e Finlandia il numero di utenti di internet si attesti su percentuali simili, “l’industria dei giornali americana, che basa più dell’ 80% delle sue entrate sulla pubblicità, è oggi in una crisi molto più seria che in paesi come la Germania o la Finlandia, dove le inserzioni pubblicitarie costituiscono in generale la metà dei ricavi totali”. Nei paesi europei invece la dipendenza da pubblicità è meno forte e le inserzioni pesano solamente 30 punti percentuali sui ricavi. (M.C. per NL)