Lo scorso anno è stato modificato lo Statuto dell’emittente comunitaria: dovesse chiudere i beni non andrebbero alla Chiesa ma sarebbero ridistribuiti “inter li”
Non solo spiritualità per Radio Maria, l’emittente comunitaria che, da una stanzetta di Arcellasco d’Erba, in provincia di Como, è arrivata, nel giro di vent’anni, ad estendere la propria influenza (con le proprie frequenze) in quasi tutti i continenti del globo, giungendo ad un’audience di quasi 40 milioni di “fedeli”. Questioni terrene attanaglierebbero l’Onlus nata nel 1983 da un progetto di don Mario Galbiati (il quale, poi, ha abbandonato la direzione dell’emittente a causa di dissapori interni, fondando la "concorrente" Radio Mater, stazione pure rampante): stando al Corriere della Sera (giovedì 12/07, pag. 13, inserto Lombardia, articolo a firma Claudio Del Frate "Battaglia sul tesoretto di Radio Maria"), si sarebbe scatenata, negli ultimi mesi, una sorta di guerra intestina, che avrebbe visto il distacco di alcuni dei fondatori, per ragioni tutt’altro che mistiche. Nell’ultimo anno, infatti, da quando, in sostanza, sarebbe stato modificato l’articolo 23 dello Statuto dell’associazione no profit che gestisce la radio (che, fino all’anno scorso, prevedeva che, in caso di cessazione dell’attività, l’eredità di Radio Maria sarebbe finita nelle casse di un ente facente capo alla Chiesa di Roma con “finalità benefiche”, mentre, dopo la modifica, avrebbe spostato la destinazione di questi beni all’associazione Onlus “World family of Radio Maria”, gestita dagli attuali vertici della Radio), sarebbero state due le questioni al centro del dibattito interno all’emittente: l’eccessivo rafforzamento della figura carismatica di padre Livio Fanzaga, con relativo allontanamento di alcuni storici collaboratori e, appunto, la modifica dell’articolo 23 dello Statuto, che prevederebbe, in caso dell’improbabile (vista l’ottima salute editoriale ed economica) cessazione dell’attività, il passaggio di tutti i beni (frutto delle giornaliere donazioni, in denaro e in altre forme, provenienti dai “fedeli”) con una sorta di redistribuzione interna. Certo è che, come dicevamo, le 800 antenne sparse su tutto il territorio italiano (e che raggiungono, giornalmente, circa un milione e ottocentomila ascoltatori) continuano a godere di perfetta salute ed il numero di emittenti “gemelle”, sorte in ogni parte del globo (Sud America e Africa in particolare), non accennano a diminuire, tramutando l’eventuale chiusura dei battenti in una vera e propria ipotesi estrema (molto più facile che a chiudere siano i principali network commerciali…). Ma, probabilmente, sapere che, anche in caso di remoto harakiri, i fondi andrebbero a finire alla Chiesa farebbe dormire sonni più tranquilli a più di qualcuno. Specie a chi in questa radio ha creduto e crede ancora. (Giuseppe Colucci per NL)