Roma – A quanti è capitato di scaricare un film o un videoclip musicale tramite peer-to-peer e ritrovarsi invece sul computer un file pedo-pornografico, un fake ingannatore? Non è un evento raro a leggere forum e newsgroup e sono in molti a preoccuparsi: all’orrore per quei contenuti si somma la preoccupazione di aver scaricato un file che scotta anche sotto il profilo legale. Il download di quel materiale è infatti un reato, ed è reato possederlo: poiché il P2P si fonda sulla condivisione dei contenuti, i file della cartella di scambio sono liberamente accessibili da terzi, e dunque al reato di detenzione e download può sommarsi quello di spaccio di materiali pedopornografici.
Nei giorni scorsi LaStampa ha dato spazio ad un caso di cronaca, quello di un downloader italiano di 22 anni che si è visto arrivare la Polizia Postale a casa perché ha scaricato uno di quei fake: il suo computer e tutti i suoi materiali informatici sono stati sequestrati. L’accusa di aver contribuito alla diffusione di pedopornografia è pesante, pesantissima. Nel chiudere la cronaca dell’accaduto, il quotidiano torinese dispensa consigli che, scrive, “non bastano mai”. In particolare afferma la pericolosità dei programmi di sharing e persino delle chat perché possono “nascondere insidie e il pericolo di intercettare clip illegali”.
Ma è davvero questo il problema? È davvero pericoloso utilizzare il P2P come fanno milioni di utenti in tutto il Mondo che tutto cercano e condividono meno che quei contenuti? Non è forse proprio questo il messaggio che da molti anni stanno cercando di far passare coloro che dal P2P ritengono di aver tutto da perdere, come l’industria fondata sul diritto d’autore?
Quando si affronta un caso di cronaca di questo genere, quando si vogliano giustamente mettere in evidenza le pesantissime conseguenze sulla vita di una persona derivate da un’accusa infamante, sarebbe utile porsi delle domande, andare oltre la pura cronaca, chiedersi qualcosa in più sul funzionamento della tecnologia e sulla difficoltà delle attuali normative di star dietro al cambiamento tecnologico.
Così facendo, sarebbe più facile rendersi conto che il pericolo del download di un file fasullo, di un fake che contiene contenuti indesiderati e indesiderabili, non può essere costituito dal fatto che alle 6 del mattino bussino alla porta gli agenti della Polizia Postale. Il pericolo sta invece nella normativa, che rende possibile un’azione di quel tipo perché un utente P2P ha scaricato un pedofile pensando che fosse altro. Una normativa cieca, incapace di ogni flessibilità, che trasforma un 22enne in una persona accusata di aver contribuito ad abusi su minori, un’accusa soverchiante e con ogni probabilità nel caso specifico, e chissà in quanti altri, del tutto gratuita, fasulla come il file scaricato. L’utente che si imbatta in un file del genere non dovrebbe avere a disposizione invece un numero telefonico, un’email, un sito, un qualcosa che gli consenta in pochi clic di segnalare il file? Non sarebbe questo assai più utile a colpire chi diffonde questa roba?
Punto Informatico più volte ha dato spazio a testimonianze dirette di persone coinvolte in indagini del tutto simili per fatti del tutto simili. Quanti saranno i casi del genere nel nostro paese? Quanti utenti perdono ogni anno l’utilizzo del loro computer, magari necessario per lavoro e magari contenente dati indispensabili a fini professionali, perché hanno scaricato un fake? Tra l’altro, a giustificare il sequestro in questi casi non è sempre e solo il download o la condivisione del file pedopornografico, perché è un file che con ogni probabilità è stato cancellato non appena individuato dall’utente. A motivare il sequestro sono invece le prassi legate all’accertamento e, allo stesso tempo, il fatto che gli agenti, nella perlustrazione preliminare del computer, vi trovino sopra contenuti pirata, come musica e film scaricati e condivisi senza autorizzazione dei detentori dei diritti.
È ora di cambiare registro, di separare nettamente le fattispecie di reato. Se gli agenti che arrivano in una casa perché hanno intercettato il download di un file pedopornografico quel file non lo trovano, e verificano anzi che sul computer dell’indagato non vi sono altri file di quel genere, la cosa deve chiudersi lì. Non si può essere garantisti nei confronti di chi contribuisce allo sfruttamento dei minori ma si deve esserlo quando il caso è palesemente diverso. Anziché affermare che i software peer-to-peer sono pericolosi, occorre tornare ad affermare la necessità di un adeguamento delle norme e delle prassi investigative, premere per un approccio consapevole della tecnologia non solo da parte degli utenti ma anche e soprattutto di coloro che risiedono in Parlamento e al Governo, ottenere in tempi rapidi un sistema web di auto-denuncia con cui scaricare ogni responsabilità e contribuire fattivamente alle indagini.
Quando su un ragazzo di 22 anni vengono ingiustamente riversate accuse infamanti che possono costare carissimo alla sua famiglia e al suo futuro non è il ragazzo che ha sbagliato, non è il destino cinico e baro che alza la testa, è invece una legge che non funziona, una prassi che va rivista, un Parlamento e un Governo che fin qui non hanno saputo agire. È ora che le cose cambino.
Gilberto Mondi