A stabilirlo è stato il Consiglio di Stato in una recente sentenza, la n. 2387/2012, nella quale ha confermato la sanzione irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (rideterminandola in euro 25.000 a fronte dei 41.000 portati dal provvedimento amministrativo impugnato), tra gli altri, ad un operatore di rete avente la propria sede in Lombardia.
In estrema sintesi, l’impresa aveva diffuso uno spot prodotto da società terza che aveva acquistato lo spazio promozionale, presentato ai telespettatori come un quiz – appunto denominato “Quizzone” – caratterizzato dalla “(…) partecipazione tramite contatto telefonico a sovrapprezzo con prefisso 899”. Tale attività, a detta dell’Agcm, niente aveva a che vedere con lo spirito del concorso a premi, comportando per i partecipanti un costo di 15 euro per l’acquisto di suonerie, con residuale possibilità di concorrere ad un’estrazione per intervenire in diretta e partecipare ad un gioco a premi. Ne conseguiva una fattispecie che l’Autorità riteneva sussumibile nell’ambito di una pratica commerciale scorretta – ai sensi di quanto previsto dal Codice del Consumo (D.Lgs n. 206/2005) agli artt. 18 e ss. – per avere i messaggi trasmessi attitudine ad indurre in errore l’utente che riteneva di partecipare ad un gioco a premi, quando la finalità principale della trasmissione era quella di vendere suonerie ad un costo non commensurabile a quello di una normale telefonata, che “il telespettatore di cultura media” – secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza in parola – poteva attendersi non superiore a 1 o 2 euro. Proseguendo, il Supremo Collegio affermava che a nulla era valsa la qualificazione del messaggio nel palinsesto dell’operatore alla stregua di televendita: tale circostanza, infatti, poteva solamente confermare la reale natura dell’attività esperita, senza sottrarre alla stessa “(…) l’apparenza di un telequiz, quindi un’attitudine ad ingannare il pubblico sulla reale natura della trasmissione”. Ulteriormente, la stessa denominazione dello spazio – “Quizzone” – risultava fuorviante, poiché “(…) il riferimento al messaggio promozionale di loghi e suonerie non era sufficiente a far cogliere la reale natura della trasmissione, atteso che nella scritta sovraimpressa si parla anche di manifestazione a premi e della possibilità di essere estratto a sorte per andare in diretta (…)”. Tali ultimi elementi venivano ritenuti tipici di un gioco a quiz, non smentiti da un banner scorrevole ad evidenziare il carattere di televendita, che l’Agcm, con argomentazione ritenuta corretta dal giudice amministrativo, valutava – per l’eccessiva velocità di scorrimento – non sufficiente a far cogliere il contenuto dell’avvertimento. Ancora, sul carattere ingannevole della trasmissione, il Consiglio di Stato evidenziava taluni aspetti che, seppur specifici della questione dedotta in giudizio, possono essere presi a modello dagli addetti ai lavori in vista di eventuali revisioni dei contenuti trasmessi. Quanto alle modalità di conduzione della trasmissione, infatti, il Collegio evidenziava – a conferma del convincimento dell’Autorità – l’insistenza dell’invito della presentatrice rivolto ai telespettatori a partecipare in diretta al gioco, con esortazioni di vario genere riferite alla possibilità di vincere uno dei premi messi in palio e l’opportunità, compresa nel costo della telefonata, di ricevere 15 suonerie. Dichiarazioni ritenute “affabulatorie” dal giudice amministrativo, constatato il carattere di televendita del messaggio trasmesso. Infine, la sentenza costituisce una conferma del principio di responsabilità che grava sull’editore anche per i contenuti trasmessi in spot pubblicitari e, più in generale, per i programmi messi in onda, indipendentemente dal soggetto che di fatto li produca e li gestisca incassandone i proventi. In proposito, nonostante la ricorrente avesse precisato con un motivo di ricorso avverso il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Agcm la propria estraneità alla qualifica di operatore pubblicitario e nonostante l’amministrazione procedente avesse ben individuato il committente del messaggio promozionale, il Tribunale Amministrativo adito, prima ed il Consiglio di Stato dopo, avevano ritenuto legittima l’irrogazione della sanzione all’emittente, perché “direttamente responsabile sotto il profilo editoriale della diffusione del messaggio (…)”. Una conferma, in realtà, più che una novità, sulla quale però pare che molti operatori non abbiano ancora adeguatamente riflettuto. (S.C. per NL)