di Roberto Venturini
La storia inizia da una evoluzione del mercato americano della pubblicità, mercato che sta modificando il proprio modello di remunerazione e andando verso prezzi basati sul numero di persone che guardano lo spot e non sul numero di persone che guardano il programma che contiene il consiglio per gli acquisti.
La storia continua con 26 milioni di famiglie americane, poco meno di un quarto delle famiglie teleutenti, che si sono dotate negli anni – con una accelerazione nell’ultimo periodo – di videoregistratori digitali, di quelli che permettono di guadarsi la televisione in differita, magari saltando la pubblicità. Famiglie molto propense, a quanto pare, ad approfittare di questa possibilità.
A questo punto entra in gioco, nella trama, un operatore di Tv via cavo (Cablevision) che ha avuto la bella pensata di virtualizzare il videoregistratore, attivando un servizio di registrazione video on demand, tale per cui gli abbonati possono predisporre la registrazione del programma interessante e poi accedere ai contenuti su richiesta direttamente dal server centrale, usando il loro normale set-top box – senza quindi caricarsi di costi per comprarsi hardware aggiuntivo.
E con la possibilità, ovviamente, di saltare la pubblicità.
Solo che grazie alla praticità ed economicità del servizio centralizzato, il numero delle persone che potrebbero avvalersi della possibilità rischia di salire considerevolmente, specialmente considerando l’effetto trascinamento che porterebbe gli altri operatori di cable Tv a offrire servizi comparabili, cercando di contrastare il passaggio di clienti ai servizi FiOS (ovvero Tv interattiva su fibra Ottica, con tanto di Dvr incorporato e magari triple play , come quella offerta da Verizon )
Ma a questo punto, al calare del numero di utenti che guarderebbero la pubblicità, che fine farebbero gli incassi pubblicitari degli emittenti e di conseguenza la disponibilità di fondi per finanziare la produzione dei programmi televisivi , in definitiva, la sopravvivenza stessa dell’emittente? La mossa di Cablevision parrebbe un po’ strana, allora, dato che se la Tv via cavo si fa pagare per la connessione, vive però in base ai contenuti che le grandi catene producono e che il cavo ridistribuisce.
Minare le revenue pubblicitarie significherebbe dunque minare alla base le radici stesse della produzione del contenuto così come lo abbiamo conosciuto in questi decenni. In tutto ciò non poteva farsi attendere una bella azione legale, volta a impedire a Cablevision la messa in opera di questo sovversivo disegno.
(continua sotto la comunicazione pubblicitaria)
La prima istanza legale ha dato ragione ai giganti dei media, ma la decisione è stata successivamente ribaltata dalla corte d’appello di New York, dando quindi in sostanza il via libera agli operatori via cavo per offrire il servizio di videoregistrazione virtuale – in prospettiva all’intera popolazione cablo-televisiva del paese.
La battaglia legale è ancora probabilmente lontana dall’essere comunque conclusa definitivamente, ma la vera battaglia in corso è quella per il controllo dei contenuti, dei diritti, delle revenue, dei soldi, insomma.
Un controllo che le nuove tecnologie sembrano destinate o predestinate a minare alla base, scuotendo radicalmente i modelli di business dell’industria dell’entertainment.
Una battaglia forse più grande e profonda di quanto non si creda, visto che l’industria dell’entertainment sembra destinata a diventare il primo e più grande settore economico del pianeta, la vera macchina che farà girare l’economia di questo secolo.
Una battaglia dunque per il mercato più grosso che ci sarà, anzi una guerra – che ha già visto una prima battaglia, quella per la musica, lasciare sul campo dei feriti gravi.