In Germania scoppia la bufera tra politica e imprenditori del settore pubblicitario: per quanto i numeri siano ottimi, se si pensa che nel 2016 vennero investiti fino a 45 miliardi di euro in pubblicità, guardati con maggiore attenzione, i risultati pervenuti dalle analisi dello scorso anno, secondo Andreas Schubert, presidente della Zentralverband der deutschen Werbewirtschaft (Zaw, cioè l’associazione centrale dell’economia pubblicitaria tedesca), essi potrebbero essere ancora più prominenti e a favore di un’economia in crescita, ma ad oggi non è ancora così.
La colpa di questo freno al picco economico, secondo Schubert, è quasi esclusivamente da attribuire ad una mania del politicaly correct, che dilaga fra tutti i componenti di ogni partito presente in Germania e che trascina le istituzioni nella generazione di un vortice infinito di divieti in difesa dei consumatori; come conseguenza diretta, si ottengono attriti e tensioni tra le due parti che portano pertanto, ad un blocco finanziario. I tedeschi saprebbero benissimo difendersi da soli senza che i loro politici si sentano in obbligo di concepirli come bambini, questa almeno è la tesi portata avanti da Schubert. “Dobbiamo sempre trattare con la classe politica: proprio la Zaw, l’altr’anno, ha attuato un’indagine per accertare di quanto aumenti il fatturato annuo (somme alla mano) grazie ad una campagna pubblicitaria, con l’unico scopo di dimostrare come non sia assolutamente utile bloccare di continuo la pubblicità, senza nessuno scrupolo né informazione, a riguardo”. Nel corso degli anni, essa è divenuta sempre più attenta e adatta alle preoccupazioni sociali come nel caso di spot rivolti ai bambini: “abbiamo riscontrato in passato, pubblicità offensive, dove si prevaricava nettamente il senso del buon gusto ed addirittura discriminatorie, ma è proprio a causa di esse che esiste il nostro Werberat (l’ordine per l’autocontrollo interno), senza che debba intervenire il legislatore: questo perché non abbiamo bisogno di una politica dirigistica ma che al contrario, sappia accogliere i nostri intenti”. Ed invece, appena l’Organizzazione mondiale della Sanità lancia un allarme qualsiasi, la politica interviene subito compiendo disastri, chiedendo divieti ed incitando proibizioni per le pubblicità di alcolici, tabacchi, cosmetici e così via; eppure si tratta pur sempre di prodotti regolamentati e messi in vendita nel rispetto delle leggi tedesche. Se un prodotto alimentare viene messo in vendita, significa che ha superato tutti gli standard obbligatori per la grande distribuzione e quindi è possibile pubblicizzarlo, senza esagerare (riconosce Schubert) e senza che la stessa pubblicità risulti ingannevole. Ovviamente è chiaro a tutti che “nessuno si nutrirà solo di biscotti, il che chiaramente dannoso, a causa di uno spot pubblicitario”. In ultimo, proprio recentemente è stato possibile riscontrare quanto la politica voglia (e possa) controllare anche la parte riguardante la raccolta dei dati sui consumatori per tutelarne la privacy: “si è consapevoli del fatto che non si debba assolutamente approfittarne, ma conoscere il mercato ed i gusti del cliente è una questione di vitale importanza per qualsiasi attività dalla notte dei tempi. Anche il droghiere all’inizio del secolo scorso metteva in vetrina i prodotti che sapeva di poter vendere più facilmente. La pubblicità via internet non viola la sfera privata e se usato con intelligenza, risulta senza dubbio un notevole strumento in espansione”. (E.M. per NL)