Pubblicazione delle intercettazioni: prospettive di riforma

Il tema delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali e della loro pubblicazione è indubbiamente di grande attualità, attira da tempo l’attenzione pubblica ed è oggetto di frequenti dibattiti da parte dei mass-media e talk show del Paese


Le novita’ di Diritto & Diritti del 17/07/2008

Falcone Valeria

Sommario:
1. Profili generali
2. Quadro normativo
3. Pubblicazione di intercettazioni formate o acquisite illegalmente
4. Pubblicazione di intercettazioni sottoposte a segreto e di intercettazioni non pubblicabili
5. Prospettive di riforma: ddl 13 giugno 2008
5.1. Limiti di ammissibilità e procedura di acquisizione delle intercettazioni
5.2. Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale e accesso abusivo ad atti del procedimento penale
5.3. Divieto di pubblicazione di atti processuali e violazione del divieto
6. Pubblicazione delle intercettazioni in violazione della privacy
6.1. Codice deontologico
6.2. Prospettive di riforma: ddl 13 giugno 2008
7. Conclusioni

1. Profili generali

Il tema delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali e della loro pubblicazione è indubbiamente di grande attualità, attira da tempo l’attenzione pubblica ed è oggetto di frequenti dibattiti da parte dei mass-media e talk show del Paese.
I precedenti Governi hanno dettato nuove norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali con due disegni di legge: uno approvato dal Consiglio dei ministri del 9 settembre 2005 (Atto Senato n. 3612), l’altro approvato il 4 agosto 2006 (Atto Senato n. 1512); nessuno dei quali, tuttavia, è giunto a completare l’iter legislativo.
La riforma della disciplina delle intercettazioni è fortemente sentita anche dall’attuale Governo, che nel Consiglio dei Ministri del 13 giugno 2008 ha approvato l’ultimo e tanto discusso disegno di legge sull’argomento.
Intorno alla tematica delle intercettazioni ruotano principi di portata costituzionale, quali l’esigenza processuale di acquisizione delle prove e, d’altro canto, la necessaria riduzione dei costi del sistema giudiziario. Nel settore delle intercettazioni, inoltre, il diritto di informazione sulle vicende giudiziarie si confronta con la tutela della privacy, dell’identità personale e della dignità delle persone coinvolte o non dalle indagini processuali.
Per tali ragioni, diverse istituzioni del Paese condividono la necessità di una riforma della disciplina delle intercettazioni, che porti ad una riduzione dei casi di ammissibilità delle intercettazioni e ad un inasprimento delle sanzioni a carico di chiunque violi il divieto di pubblicazione.
D’altra parte, i magistrati sono preoccupati che le disposizioni del disegno di legge suddetto privino le indagini concernenti diversi reati dello strumento delle intercettazioni, considerato essenziale per l’acquisizione delle prove di colpevolezza, ed i giornalisti temono che la libertà di informazione sia svilita dal divieto generalizzato di pubblicazione delle intercettazioni fino ad una determinata fase processuale e dall’aggravamento delle sanzioni in caso di violazione del divieto di pubblicazione.
Il tema delle intercettazioni rappresenta, quindi, una materia delicata, che richiede un’attenzione particolare per le sue diverse implicazioni in materia di giustizia, privacy e libertà di informazione.

2. Quadro normativo

Le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni costituiscono, nel processo penale, un mezzo di ricerca della prova e risultano spesso decisive per accertare la verità dei fatti.
Tra i principi inviolabili della Costituzione è sancita la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15, comma I, cost.). La stessa Carta costituzionale prevede, d’altro canto, che “la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” (art.15 cost.)[1].
Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di flussi di comunicazione relativi a sistemi informatici o telematici sono previste ex lege solo per determinati reati (artt. 266 e 266 bis c.p.p.)[2]. Il giudice autorizza le operazioni suddette, richieste dal pubblico ministero, quando vi siano gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini (art. 267 c.p.p.). I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati quando le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o non siano state osservate le disposizioni suddette (art. 271 c.p.p.).
3. Pubblicazione di intercettazioni formate o acquisite illegalmente

L’ipotesi più grave di divulgazione di intercettazioni telefoniche o telematiche si verifica in caso di pubblicazione di documenti, supporti o atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico illegalmente formati o acquisiti.
Con decreto legge 22 settembre 2006 n. 259, convertito con legge 20 novembre 2006, n. 281 (G.U. n. 271 del 21/11/2006), il Governo ha fissato nuove regole sanzionatorie in caso di pubblicazione di intercettazioni formate o acquisite illegalmente[3].
In caso di diffusione di dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti, può essere richiesta, a titolo di riparazione, all’autore della pubblicazione degli atti o dei documenti e al direttore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1.000.000 di euro secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l’entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro[4].
I responsabili possono, inoltre, vedersi condannare dal giudice civile al risarcimento del danni eventualmente patiti a seguito della pubblicazione illecita.
In caso di diffusione di intercettazioni illegalmente formate o acquisite, le persone coinvolte hanno, quindi, ampia tutela, potendo richiedere, per le pubblicazioni già avvenute, la riparazione pecuniaria ed il risarcimento del danno, e, a titolo di tutela preventiva, l’inibizione da ogni ulteriore e illecita diffusione[5].
La diffusione di intercettazioni illegalmente formate o acquisite non deve essere confusa con la divulgazione di intercettazioni legittime di cui è vietata per legge la pubblicazione (art. 114 c.p.p.).

4. Pubblicazione di intercettazioni sottoposte a segreto e di intercettazioni non pubblicabili

La disciplina attuale dettata dal codice di procedura penale sancisce: “È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto” (art. 114, comma I, c.p.p.).
Per capire quando un atto è segreto, si richiama l’art. 329 c.p.p., secondo cui gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto “fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”[6].
Nell’ipotesi di intercettazioni telefoniche o telematiche, l’art. 268 c.p.p. stabilisce, in particolare, che, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, i verbali e le registrazioni delle comunicazioni intercettate sono depositati nella segreteria del pubblico ministero[7]. Del deposito è dato avviso ai difensori delle parti, che hanno facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Da questo momento, dunque, le trascrizioni delle intercettazioni non sono più coperte dal segreto ed il loro contenuto è pubblicabile.
Quando l’atto non è più coperto dal segreto è sempre consentita la pubblicazione del suo contenuto, ma continua ad essere vietata la pubblicazione, anche parziale, dell’atto medesimo fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare[8].
Pertanto, nel momento in cui le intercettazioni sono a disposizione dell’imputato e del suo difensore, al giornalista è consentito pubblicarne il contenuto; diversamente, se sono divulgati gli atti relativi alle intercettazioni medesime, quando essi siano ancora segreti ovvero prima della conclusione delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, si assiste ad una violazione dei divieti di cui all’art. 114 c.p.p.
Quanto alle sanzioni previste per la violazione dell’art. 114 c.p.p., è necessario distinguere l’ipotesi relativa ad atti coperti dal segreto, dall’ipotesi di atti non più coperti dal segreto, ma ancora non pubblicabili.
Nel primo caso, ricorre il reato di “rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale” (art. 379 bis c.p.)[9].
Nel secondo caso, si configura il reato di “pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale” (art. 684 c.p.) e, qualora il fatto sia commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, può ricorrere anche un illecito disciplinare (art. 115 c.p.p.)[10].

5. Prospettive di riforma: ddl 13 giugno 2008

Nel Consiglio dei Ministri n. 5 del 13 giugno 2008, il Governo ha approvato il disegno di legge recante: “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice, degli atti di indagine, e integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche” (c.d. disegno di legge “Alfano”).
Il testo si ispira ai precedenti disegni di legge approvati dagli ultimi due Governi ed apporta diverse modifiche all’attuale disciplina delle intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali.

5.1. Limiti di ammissibilità e procedura di acquisizione delle intercettazioni

Per prima cosa, il disegno di legge in esame limita sensibilmente le ipotesi di ammissibilità delle intercettazioni medesime. In particolare, l’art. 3 del ddl in esame modificando l’art. 266 c.p.p. stabilisce, tra l’altro, che l’intercettazione è consentita nei procedimenti relativi ai delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo non più cinque anni ma a dieci anni.
Per quanto riguarda, invece, le modalità di autorizzazione delle intercettazioni medesime, la disciplina vigente sancisce che l’autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione è data dal giudice per le indagini preliminari con decreto motivato, mentre il ddl in esame prevede, all’art. 4, che l’autorizzazione è rilasciata dal tribunale in composizione collegiale.
Nella vigente disciplina, inoltre, il decreto del pubblico ministero che dispone l’intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni, qualora permangano i presupposti di gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Nel ddl in esame è posto, invece, un limite temporale alle operazioni di intercettazioni, dal momento che la durata delle operazioni di intercettazione è prevista per un periodo massimo di quindici giorni, prorogabile dal tribunale in pari misura e per una durata complessiva massima non superiore a tre mesi[11].

5.2. Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale e accesso abusivo ad atti del procedimento penale

Nella formulazione vigente, l’art. 379 bis c.p. punisce, fino ad un anno di reclusione, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale. Il ddl in esame prevede, all’art. 13, un aggravamento del reato suddetto con la previsione della reclusione “da uno a cinque anni” anche per chi agevola in qualsiasi modo la conoscenza di notizie segrete. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a un anno.
Il disegno di legge “Alfano” disciplina, inoltre, la fattispecie di accesso abusivo ad atti del procedimento penale, che sancisce all’art. 617 septies c.p.: “Chiunque mediante modalità o attività illecita prende diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti dal segreto è punito con la pena della reclusione da uno a tre anni”.

5.3. Divieto di pubblicazione di atti processuali e violazione del divieto

La modifica agli artt. 114 e 115 c.p.p. è dettata dall’art. 2 del ddl in esame.
L’articolo 114, comma 2, del codice di procedura penale, viene sostituito dal seguente: “È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto o nel contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”.
Se il ddl in esame dovesse diventare legge, la novità rispetto al passato è che sarà vietata la pubblicazione degli atti “anche nel contenuto” fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Prima di tale momento, i cittadini non potranno, quindi, essere informati neanche del contenuto delle intercettazioni relative ad indagini di pubblico interesse[12].
Se venisse violato il divieto di pubblicazione suddetto, il ddl “Alfano” aggrava le sanzioni rispetto alla disciplina vigente. L’art. 684 sancisce, infatti, che chiunque pubblichi “atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 euro a 258 euro”. Il ddl in esame modifica le pene per questo reato prevedendo l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da euro 250 a euro 750. Qualora gli atti pubblicati illegittimamente riguardino, in particolare, intercettazioni, l’art. 13 del ddl “Alfano” aggiunge il comma II dell’art. 684 c.p. dal seguente tenore: “Se il fatto di cui al comma precedente riguarda le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche, le altre forme di telecomunicazione, le immagini mediante riprese visive, e la acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni stesse, la pena è dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da 500 a 1.032 euro”[13].
Con riferimento a questa ipotesi di reato (art. 684 c.p.), il ddl in esame prevede anche la responsabilità della società editrice “per illecito amministrativo dipendente da reato” (d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231). In particolare, l’art. 14 del ddl in esame aggiunge l’art. 25-nonies del d.lgs. 231/2001 che sancisce: “In relazione alla commissione del reato previsto dall’articolo 684 del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a trecento quote”[14].
Posto che la violazione del divieto di pubblicazione suddetto può costituire, oltre che un reato, un illecito disciplinare, il ddl in esame modifica anche la norma concernente i rapporti tra procedimento penale e quello disciplinare.
L’articolo 115 comma II del codice di procedura penale attualmente prevede “Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l’organo titolare del potere disciplinare”. Per mezzo del ddl in esame il comma suddetto sarebbe così sostituito: “Di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi dalle persone indicate al comma 1, il procuratore della Repubblica procedente informa immediatamente l’organo titolare del potere disciplinare, che, nei successivi trenta giorni, ove sia stata verificata la gravità del fatto e la sussistenza di elementi di responsabilità e sentito il presunto autore del fatto, può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall’esercizio della professione fino a tre mesi”[15].

6. Pubblicazione delle intercettazioni in violazione della privacy

Altro profilo essenziale della tematica della pubblicazione delle intercettazioni è quello della diffusione, da parte di organi di stampa, di trascrizioni di intercettazioni telefoniche formate e acquisite legalmente, non coperte da segreto e legittimamente pubblicabili, la cui diffusione leda, tuttavia, interessi giuridicamente protetti, come ad esempio la privacy delle persone non implicate direttamente nelle indagini (art. 2 cost.)[16].
Nell’estate del 2006, caratterizzata dalle note vicende “calciopoli” e “vallettopoli”, il Garante per la protezione dei dati personali ha esaminato la problematica del rispetto dei diritti delle persone coinvolte dalla pubblicazione di diverse trascrizioni di intercettazioni telefoniche disposte da autorità giudiziarie, adottando il provvedimento generale 21 giugno 2006 dal tema “Intercettazioni: informazione su fatti di interesse pubblico, rispettando le persone”.
Può accadere, infatti, che il giornalista pur attenendosi alle disposizioni che vietano la pubblicazione di atti di un procedimento penale, nel divulgare atti o documenti pubblicabili, non rispetti i precetti dettati dal Codice della privacy (d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196) o dal Codice deontologico (Decisione Consiglio nazionale Ordine giornalisti 29/07/1998).

6.1. Codice deontologico

Il Codice in materia di protezione dei dati personali menziona tra i limiti al diritto di cronaca quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico[17].
Altro fondamentale parametro di riferimento per i mass media è il “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, che disciplina i rapporti tra attività di informazione e trattamento dei dati personali delle persone coinvolte in qualsiasi modo nei fatti di cronaca[18].
In altri termini, il giornalista che pubblica il contenuto o gli atti delle intercettazioni disposte in un procedimento penale, pur non violando le disposizioni sul divieto di pubblicazione di atti ex artt. 114 c.p.p. può disattendere le disposizioni a tutela della privacy.
Si pensi al caso di pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche che, anche se legittima, divulghi non soltanto dati essenziali ed indispensabili per informare i cittadini sulle indagini di interesse pubblico in corso, ma anche elementi e aspetti della vita privata di persone non coinvolte direttamente nel fatto di cronaca. In tal caso, il giornalista pur non essendo sanzionato a titolo di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, rischia di incorrere nelle sanzioni disciplinari dell’Ordine dei giornalisti e nei provvedimenti impeditivi e sanzionatori del Garante della privacy.
In ipotesi di violazione delle norme del Codice deontologico, l’Ordine dei giornalisti può, infatti, avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei suoi iscritti[19].
D’altro lato, per le stesse violazioni il Garante per la protezione dei dati personali può prescrivere le misure opportune o necessarie per rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti in materia di privacy e può disporre il blocco o vietare, in tutto o in parte, il trattamento che risulta illecito o non corretto (art. 143 Codice privacy). In caso di ulteriore inadempimento da parte del giornalista, si configura il reato di “Inosservanza dei provvedimenti del Garante” (art. 170 del Codice).
In conformità a tali compiti, il Garante ha emanato il Provvedimento 21 giugno 2006, con il quale è stato prescritto ai titolari del trattamento in ambito giornalistico (gli editori) di adeguare immediatamente i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche, ricorrenti nel periodo di “calciopoli” e “vallettopoli”, a tutti i principi affermati dal Codice sulla privacy e dal Codice deontologico[20].
Nel provvedimento suddetto, il Garante ha sottolineato l’esigenza del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle diverse persone coinvolte dalle predette pubblicazioni, con particolare riferimento alla loro riservatezza, dignità ed identità personale, nonché al diritto fondamentale alla protezione dei relativi dati personali. “Anche se è configurabile un interesse pubblico alla conoscenza dettagliata di fatti”, secondo il Garante, “si pone con seria evidenza la necessità di assicurare, con immediatezza e su un piano generale, un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché integrale di innumerevoli brani di conversazioni telefoniche, intercorse anche con terzi estranei ai fatti oggetto di indagine penale o che non risultano allo stato indagati, o brani che riguardano in ogni caso diverse relazioni personali o familiari o, ancora, persone semplicemente lese dai fatti”[21].
Si assiste sempre più spesso, secondo il Garante, al fenomeno dell’incessante pubblicazione integrale di materiali processuali, che pone a volte in modo indiscriminato a disposizione dell’opinione pubblica un vasto materiale di documentazione di conversazioni telefoniche che non è oggetto di adeguata selezione e valutazione. Tale materiale, oltre a non risultare sempre essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica, può favorire anche una percezione inesatta di fatti, circostanze e relazioni interpersonali.
Il Garante, a tal fine, ha ricordato nel provvedimento suddetto che la vigente disciplina di protezione dei dati personali, nel contemperare i diritti della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di stampa, prevede invece espresse e puntuali garanzie da rispettare[22].
L’indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche, specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico su aspetti intimi e privati senza rispondere integralmente ad un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare, pertanto, non solo una violazione del Codice della privacy e del Codice deontologico, ma anche delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con la libertà di espressione (artt. 8 e 10 Conv. europea diritti dell’uomo)[23].
Recentemente il Garante per la protezione dei dati personali si è pronunciato nuovamente con riferimento alle notizie circa la possibile pubblicazione del contenuto di nuove intercettazioni telefoniche o di altro materiale di indagine, richiamando tutti i media alla necessità di valutare con il massimo scrupolo e senso di responsabilità la sussistenza dell’interesse pubblico alla eventuale diffusione delle informazioni e raccomandando il più rigoroso rispetto delle leggi in vigore, del Codice deontologico e dei principi posti a tutela della persona[24].

6.2. Prospettive di riforma: ddl 13 giugno 2008

Con il disegno di legge “Alfano” al Garante della privacy viene attribuita la possibilità di prescrivere, in caso di violazione del Codice di deontologia o dei principi del Codice della privacy, oltre che il divieto all’ulteriore trattamento, anche la pubblicazione o diffusione in una o più testate della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione (art. 17)[25]. Chiunque non osserva i provvedimenti del Garante suddetti è punito con la reclusione da tre mesi a due anni (art. 170 d.lgs. 196/2003).
E’ contemplata, pertanto, una nuova tutela a favore di coloro che subiscono una violazione della privacy a seguito di pubblicazione di intercettazioni.
Tale ulteriore previsione si inserisce, tuttavia, in sistema sanzionatorio già particolarmente articolato e complesso. Attualmente il Garante ha già diversi poteri di intervento in caso di violazione della privacyed anche l’Ordine dei giornalisti, come è noto, può comminare sanzioni disciplinari ai giornalisti che, pubblicando intercettazioni in maniera indiscriminata, violino la privacy[26].

7. Conclusioni

Sono numerose le opinioni che esprimono la loro preoccupazione per il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 giugno 2008.
Non si dubita sulla necessità di alcune modifiche alla disciplina vigente, in un’ottica di necessaria organicità del sistema delle intercettazioni, ma non si può condividere una rigidità del sistema processuale e sanzionatorio, che vada a discapito della libertà di informazione[27].
La disciplina vigente ha in seno gli strumenti necessari a garantire un corretto equilibrio tra necessità investigative, diritto di informazione e tutela della privacy. Il rispetto, da parte dei magistrati, delle limitazioni di legge in materia di intercettazioni e l’utilizzo di tale strumento d’indagine solo in ipotesi di concreta ed effettiva necessità, costituisce il necessario presupposto degli strumenti suddetti. L’effettivo adeguamento, da parte dei giornalisti, ai principi stabiliti nel Codice della Privacy e nel Codice deontologico, ne rappresenta il coronamento[28]. La soluzione ai problemi spesso è data dall’applicazione effettiva delle leggi vigenti, non dalla continua legiferazione.

Roma, 7 luglio 2008

Valeria Falcone

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[1] E’ salvaguardata, in questo modo, la coesistenza tra il principio di libertà e segretezza delle comunicazioni e quello del rispetto delle esigenze probatorie e investigative nel processo penale.

[2] In particolare, l’intercettazione è consentita solo nei procedimenti relativi a delitti non colposi per i quali è prevista la pena della reclusione nel massimo a cinque anni, a delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e relativi ad altri reati, quali, ad esempio, l’usura, l’ingiuria, la pornografia minorile.

[3] Il d.l. 259/2006 convertito in legge 281/2006 stabilisce che i documenti, i supporti e gli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, formati o acquisiti illegalmente sono immediatamente secretati e custoditi dal pubblico ministero. E’ vietato eseguirne copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato ed il giudice ne dispone, infine, la distruzione. Per quanto riguarda la distruzione suddetta, si richiama la decisione dell’Ufficio delle Indagini preliminari Milano del 30 marzo 2007, in Foro ambrosiano 2007, 1 50, nota di Pistochini, Stendardi, che ha inviato alla Corte Costituzionale una questione relativa all’art. 240 c.p.p. dal momento che, secondo il giudice a quo, il meccanismo di distruzione immediata del materiale illecito previsto da tali disposizioni non garantisce l’effettivo contraddittorio tra le parti nella formazione di una prova, pregiudica il diritto di difesa per effetto dell’eliminazione anticipata dei documenti che contengono le informazioni illecitamente captate, impedisce al p.m. di individuare eventuali correi e, più in generale, mostra un’irragionevolezza di fondo, privilegiando il diritto alla riservatezza con totale sacrificio di altri valori di rilievo costituzionale, tra cui gli stessi diritti delle vittime dell’illecita raccolta di informazioni. Il citato decreto legge n. 259/2006 poi convertito ha previsto che chiunque detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni (art. 3).

[4] L’azione può essere proposta da parte di coloro a cui i detti atti o documenti fanno riferimento e si prescrive nel termine di cinque anni dalla data della pubblicazione. L’azione è esercitata senza pregiudizio di quanto il Garante per la protezione dei dati personali possa disporre ove accerti o inibisca l’illecita diffusione di dati o di documenti, anche a seguito dell’esercizio di diritti da parte dell’interessato.

[5] Si richiama, sull’argomento, una recente pronuncia della Cassazione penale che ha precisato che “la diffusione illegale di intercettazioni illegalmente formate e acquisite attiene non soltanto al contenuto delle conversazioni, ma anche ad ogni altro dato da esse desumibile, come le generalità dei soggetti coinvolti nella captazione, nell’ipotesi in cui si tratti di dato informativo non desunto da altri accertamenti ma proprio e soltanto dai risultati delle intercettazioni” (Cassazione penale, sez. II, 12 gennaio 2006, n. 2817, in Arch. nuova proc. pen. 2006, 5 524 nota CARBONE).

[6] Le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni sono disposte dal pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice delle indagini preliminari, e le loro trascrizioni costituiscono, pertanto, atti di indagini del pubblico ministero coperti dal segreto nei limiti suddetti.

[7] Se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

[8] Art. 114, commi VII e II, c.p.p.

[9] Ai sensi dell’art. 379 bis c.p., “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno”.

[10] Ai sensi dell’art. 684 c.p., “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 51 euro a 258 euro”. Con riferimento a questa ipotesi di reato, la giurisprudenza precisa che le norme che vietano la divulgazione del testo o del contenuto degli atti di un’indagine penale sono dettate a tutela del sereno svolgimento del procedimento e non a tutela dell’onore e della reputazione dell’indagato. Ne consegue che l’eventuale violazione di tali norme, da sola, non è sufficiente per ritenere sussistente un illecito diffamatorio (Cassazione penale, sez. V, 20 settembre 2001, n. 37667 in Famiglia e diritto 2002, 263 nota FOLADORE).

[11] Dopo il comma 3 dell’art. 267 c.p.p. è inserito il seguente: “3-bis. Quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata, di terrorismo o di minaccia col mezzo del telefono, l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’articolo 266 è data se vi sono sufficienti indizi. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l’articolo 203 del codice di procedura penale. La durata delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero secondo le previsioni del comma 2”. Ulteriori e stringenti modifiche sono dettate, inoltre, con riferimento agli artt. 268, 269, 270, 271 c.p.p. In sostituzione al comma II art. 329 c.p.p., è previsto, infine, che quando sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero non possa più consentire autonomamente con decreto motivato la pubblicazione di singoli atti o parti di essi, ma sia tenuto comunque a richiederne l’autorizzazione alla pubblicazione.

[12] L’articolo 114, comma 7, codice di procedura penale, che nella vigente formulazione prevede: “E’ sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”, nel ddl in esame viene sostituito dal seguente: “È in ogni caso vietata la pubblicazione anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 269 e 271”.

[13] Le due pene, detentiva e pecuniaria, non sono alternative, ma congiunte. Diversamente, il ddl “Mastella” 4 agosto 2006, approvato alla Camera dei deputati il 17 aprile 2007, modificava l’art. 684 c.p. nel seguente modo: “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o nel contenuto, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da 10.000 euro a 100.000 euro. La condanna importa la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 (codice penale)”.

[14] L’applicazione del d.lgs. 231/2001 alle imprese multimediali in relazione alla violazione dell’articolo 684 c.p., è stato tuttavia replicato, potrebbe determinare una ingerenza, giustificata dai rischi delle sanzioni pecuniarie, degli editori nella vita e nella fattura dei giornali con conseguente compromissione dell’autonomia della professione di giornalista (Franco Abruzzo, Intercettazioni: si torna alla legislazione del 1930. Cronaca giudiziaria imbrigliata, in www.altalex.com 17.06.2008).

[15] Anche qui è stato replicato che, avendo la sospensione natura cautelare, questa dovrebbe essere adottata mentre il procedimento penale è in atto. L’articolo 58 della Legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista impedisce, tuttavia, al Consiglio dell’Ordine l’adozione di qualsiasi provvedimento prima della conclusione del processo. La norma del ddl in esame, pertanto, sembra non coordinata con l’articolo 58 citato (Franco Abruzzo, Intercettazioni: si torna alla legislazione del 1930. Cronaca giudiziaria imbrigliata, in www.altalex.com 17.06.2008).

[16] Il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale rappresenta una contravvenzione per la tutela preventiva dei segreti e non attiene, infatti, alla salvaguardia della privacy e della dignità della persona.

[17] Art. 137 d.lgs. n. 196/2003.

[18] Il Codice deontologico suddetto è stato adottato, in conformità alla legge n. 675/1996 (ora d.lgs. 196/2003), dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalista con decisione 29/07/1998 (in G.U. 3 agosto 1998 n. 179) e costituisce l’allegato n. 1 del d.lgs. 196/2003. La sua natura normativa è pacifica ed è stata recentemente ribadita dalla Suprema Corte (Cassazione penale, sez. III, 17 aprile 2008 n. 16145, in www.cortedicassazione.it).

[19] L’art. 2 della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica dispone che la libertà d’informazione e di critica è un diritto insopprimibile dei giornalisti, limitato tuttavia dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui. Le sanzioni disciplinari, previste dalla citata legge n. 69/1963, sono l’avvertimento, la censura, la sospensione dall’esercizio professionale e, nei casi più gravi, la radiazione.

[20] Provvedimento Garante 21/06/2006 in G.U. n. 147 del 27 giugno 2006 e in www.garanteprivacy.it (doc. web n. 1299615).

[21] Nel ravvisare questa esigenza, il Garante ha sottolineato che, dagli atti a quel momento disponibili e dall’attuale quadro normativo riferito al processo penale, non risultava allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni fossero avvenute violando il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale.

[22] In particolare, il Codice deontologico 29/07/1998 garantisce al giornalista il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, ma nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione; considera quindi legittima la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale solo quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile per l’originalità dei fatti, o per la qualificazione dei protagonisti o per la descrizione dei modi particolari in cui sono avvenuti (art. 6, comma I); prescrive che si evitino riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti; esige il pieno rispetto della dignità della persona; tutela la sfera sessuale delle persone, impegnando il giornalista ad astenersi dal descrivere abitudini sessuali riferite a persone identificate o identificabili e, quando si tratta di persone che rivestono una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, a rispettare comunque sia il principio dell’essenzialità dell’informazione, sia la dignità (art. 6 comma II, art. 11).

[23] Il Garante ha ritenuto, quindi, necessario prescrivere a tutti i mezzi di informazione di procedere ad una valutazione più attenta ed approfondita, autonoma e responsabile, circa l’effettiva essenzialità dei dettagli pubblicati, nella consapevolezza che l’affievolita sfera di riservatezza di persone note o che esercitano funzioni pubbliche non esime dall’imprescindibile necessità di filtrare comunque le fonti disponibili per la pubblicazione, che vanno valutate dal giornalista, anche alla luce del dovere inderogabile di salvaguardare la dignità delle persone e i diritti di terzi. Con Provvedimento 15 marzo 2007, il Garante è tornato sul tema della pubblicazione delle intercettazioni a seguito della pubblicazione, da parte di varie testate giornalistiche, di trascrizioni di intercettazioni disposte in una nota indagine su condotte estorsive relative all’utilizzo di immagini fotografiche e di altre notizie, nonché su reati ipotizzati in tema di prostituzione. Nel rilevare da parte dei titolari del trattamento di dati in ambito giornalistico (editori) alcune violazioni specifiche della normativa sulla privacy, il Garante ha ritenuto, nel caso specifico, di dover disporre il divieto di trattamento dei dati personali nei confronti di tutti gli editori titolari del trattamento in ambito giornalistico, anche al fine di prevenire ulteriori conseguenze dannose per gli interessati che sarebbero potute derivare dalla pubblicazione illecita di altre informazioni e notizie non ancora diffuse.

[24] Comunicato stampa Garante 2 luglio 2008, in www.garanteprivacy.it.

[25] L’art. 139, comma V, attualmente stabilisce: “In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante può vietare il trattamento ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c)”. Nella versione del ddl in esame, il comma V suddetto è sostituito dal seguente: “In caso di violazione delle prescrizioni contenute nel Codice di deontologia o, comunque, delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 137, il Garante può vietare il trattamento o disporne il blocco ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c). Nell’esercizio dei compiti di cui agli articoli 143, comma 1, lettera b) e lettera c), 154, comma 1, lettera c) il Garante può anche prescrivere quale misura necessaria a tutela dell’interessato, la pubblicazione o diffusione in una o più testate della decisione che accerta la violazione, per intero o per estratto ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione”. Dopo il comma 5 sono inserite i seguenti: “5-bis. Nei casi di cui al comma 5, il Consiglio nazionale e il competente Consiglio dell’Ordine dei giornalisti anche in relazione alla responsabilità disciplinare, nonché, ove lo ritengano, le associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti. 5-ter. La pubblicazione o diffusione di cui al comma 5 è effettuata gratuitamente nel termine e secondo le modalità prescritte con la decisione, anche per quanto riguarda la collocazione, le relative caratteristiche anche tipografiche e l ‘eventuale menzione di parti interessate. Per le modalità e le spese riguardanti la pubblicazione o diffusione disposta su testate diverse da quelle attraverso la quale è stata commessa la violazione, si osservano le disposizioni di cui all’articola 15 del decreto del presidente della Repubblica 11 luglio 2003 n. 284”.

[26] Ciò nonostante da tempo lo stesso Ordine dei giornalisti auspica una semplificazione normativa, che renda le procedure sanzionatorie più celeri ed efficaci.

[27] L’impressione è si stia emanando norme di natura emergenziale, non pensando a riforme di sistema, le uniche idonee a rifunzionalizzare la giurisdizione e mantenere all’ordinamento l’indispensabile carattere di organicità (Salvatore Walter Pompeo, Intercettazioni: non serve la Corte, in www.altalex.com 17.06.2008).

[28] Piero Calabrò, Intercettazioni telefoniche: solo un problema di tutela della privacy?, in www.altalex.com 12/06/2008.

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