Vogliamo tirare le somme di questa prima settimana di protesta da parte delle radio e televisioni locali contro la decisione del governo di privarle delle cd. “provvidenze per l’editoria”?
Dopo un inizio straordinario, attraverso speciali informativi e spot martellanti che hanno shockato le forze politiche (sia quelle che hanno favorito l’approvazione del nocivo provvedimento, sia quelle che lo hanno fiaccamente osteggiato), si è avuta la sgradevole percezione di un rapido allentamento della pressione mediatica; quasi che la questione fosse da molti trattata non già come una necessità propria, ma come una campagna pubblicitaria gratuita, da concludere speditamente per lasciar spazio ad inserzionisti paganti. Poi, come sempre in questi casi, ci sono stati gli “astuti”, quelli del “protestate voi, tanto se otterrete soddisfazione ne godrò anch’io”. Per fortuna, però, la reazione è stata, ed è, tenuta alta da altre organizzazioni, più efficienti, che hanno interessi coincidenti con quelli delle radio e televisioni locali (le agenzie di informazione e di stampa, i sindacati dei giornalisti, ecc.). Complessivamente, la categoria delle emittenti locali non sta uscendo affatto bene da questa vicenda, mostrando associazioni sbadate e poco considerate dalle istituzioni e dagli adepti stessi ed imprese deboli con editori rassegnati a prendere sventole senza ribellarsi. Beninteso, non che fino ad ora le manifestazioni di dissenso non abbiano sortito effetto: il governo, già frullato dai casini subiti e prodotti, ha accusato il colpo e si dice disponibile a rivedere la propria disgraziata scelta (anche se come e quando non si sa). Ma – dicevamo – nell’insieme non è stata una prova positiva di unità ed efficienza del settore davanti ad un pericolo collettivo. Ma ciò, come noto, non è affatto una novità.