Paolo Landi, Adiconsum: “Siamo favorevoli alle conciliazioni, ma il decreto non rispetta la legge delega e viola i principi dell’Unione Europea sulla conciliazione. È uno strappo alla Costituzione”.
Se il Parlamento dovesse approvare il decreto proposto dal Governo in materia di mediazione e conciliazione sulle controversie civili e commerciali significa che il 70% delle potenziali “cause” sarà obbligatorio per i cittadini passare dalla giustizia privata prima di ricorrere al giudice. È un decreto quindi che avrà rilevanti conseguenze nell’accesso alla giustizia per i consumatori e i cittadini. Ma cosa prevede il decreto? Prima di ricorrere al giudice per le materie di condominio, diritti reali, divisione, successione ereditaria, patti di famiglia, locazioni, comodato, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, da diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è fatto obbligo al cittadino di ricorrere prima ad un organismo di mediazione e conciliazione privata, i cui costi possono ammontare ad alcune centinaia di euro, essendo obbligatoria anche l’assistenza di un legale. Questa normativa per Adiconsum "rappresenta una violazione della legge delega del Governo nella quale non è prevista alcuna obbligatorietà come invece è prevista nel decreto. Il decreto inoltre viola alcuni principi delle Raccomandazioni della Commissione Europea in tema di conciliazione (gazzetta ufficiale L 115 del 17.04.98) ove si afferma che il consumatore non deve avere alcun obbligo a ricorrere ad un rappresentante legale, la gratuità della procedura o costi moderati, l’adesione volontaria del consumatore alla procedura extragiudiziale. Il decreto inoltre viola il principio dell’indipendenza allorquando le imprese possono predeterminare l’organismo di conciliazione a cui il con fumatore è costretto a rivolgersi". L’associazione Adiconsum si è quindi rivolta al Governo e al Parlamento, chiedendo che anche per i protocolli di conciliazione sottoscritti dalle associazioni dei consumatori con le imprese o le associazioni d’impresa l’equiparazione a tutti gli effetti a quelli previsti dal decreto. In altre parole, spiega l’ente, "se un consumatore ha esperito la conciliazione paritetica con banca Intesa non debba essere costretto per ricorrere al giudice ad una seconda conciliazione presso questi organismi privati". Adiconsum ha poi chiesto "la sostituzione dell’obbligo di conciliazione previsto nel decreto con la facoltà del consumatore di valutare la convenienza e l’opportunità della conciliazione prima di ricorrere al giudice. Diversa è la conciliazione obbligatoria gratuita presso organismi pubblici come i CORECOM o per il diritto al lavoro". La possibilità che nei vari contratti l’impresa sia determinato a priori l’organismo privato designato a gestire le controversie ad avviso di Adiconsum "rappresenta una violazione dell’indipendenza, è una violazione del Codice del Consumo in cui è previsto che sia il Foro di residenza del consumatore quello in cui deve tenersi il giudizio. Da cancellare, inoltre, nel decreto anche quel vincolo previsto nell’art. 13 in cui una proposta di mediazione non accettata viene trasmessa al giudice. Questo è un tentativo illecito di influenzare il giudice, poiché un conto è una proposta di mediazione, altro è il ricorso al giudice al quale si chiede non una mediazione, ma il riconoscimento del diritto con i relativi interessi". Adiconsum e i consumatori "sono favorevoli alle procedure conciliative. In questi anni abbiamo negoziato oltre 20 accordi con le principali imprese: dall’Eni all’Enel, alla Telecom, Ania, Poste, Ferrovie, Banca Intesa, Unicredit, ecc.. e sono state realizzate oltre 100.000 conciliazioni. Accordi in cui la conciliazione è una facoltà e un diritto del consumatore, non un obbligo, e inoltre è gratuita. Se tale decreto non sarà modificato in Parlamento, eliminandone l’obbligatorietà e le altre incongruenze significa anche ridimensionare in modo rilevante il ruolo dei giudici di pace. Giudici che stanno programmando un’azione di protesta per richiamare l’attenzione del Ministro sulle precarie condizioni in cui operano. Da un lato quindi il Governo non mette in grado i giudici di pace di operare e dall’altro obbliga i cittadini a dover ricorrere ad una costosa giustizia privata".