Non è passato molto tempo dalla gaffe del Ministro Lorenzin, costata il linciaggio sui social, che aveva chiesto un aiuto – possibilmente gratuito – a grafici e creativi italiani per ideare una campagna di incentivo alle nascite (il contestatissimo “Fertility Day”).
Le polemiche erano impazzate in rete, proprio nei confronti della richiesta di gratuità per una prestazione professionale e nessuno aveva fatto sconti al Ministro, costretta a chiedere pubblicamente scusa e rettificare il proprio messaggio.
Secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato, però, le pubbliche amministrazioni possono a buona ragione richiedere e i professionisti prestare opere gratuite, cioè senza la corresponsione di una controprestazione in denaro. Così l’organo supremo della Giustizia Amministrativa ha deciso sul caso del Comune di Catanzaro che aveva indetto un bando per una consulenza, con la previsione della sola rifusione delle spese sostenute (da documentare e con un tetto massimo di 250 mila euro) ma senza alcuna corresponsione di compensi (o meglio, con il compenso simbolico di 1 euro).
Il bando era stato impugnato dagli ordini professionali – nello specifico, architetti e ingegneri – che si erano visti dare ragione dal TAR calabrese, ma la decisione è stata completamente ribaltata dal Consiglio di Stato, per il quale sarebbe del tutto legittima la formulazione di un bando che prevede l’assegnazione di incarichi professionali a titolo gratuito, come nel caso del Comune di Catanzaro.
Palazzo Spada motiva la propria decisione con un’interpretazione estensiva del carattere di onerosità della prestazione, che sarebbe valida nei rapporti con la pubblica amministrazione: per la corte, infatti, la remunerazione per i professionisti che lavorano con le p.a. non deve essere necessariamente di natura economica, ma può consistere nel ritorno di immagine e nella pubblicità derivanti dall’aver prestato opera per un ente pubblico.
Per suffragare la propria decisione, il Consiglio di Stato ha riportato gli esempi del volontariato e delle sponsorizzazioni: è innegabile che in ambedue i casi ad una prestazione non corrisponde un pagamento in denaro, ma resta qualche perplessità sull’opportunità di accostarli alla prestazione professionale.
Le reazioni dei professionisti (non solo architetti) sono di allarme e sconforto. Il Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri Armando Zambrano (in foto) ha sottolineato come, secondo la configurazione data in sentenza, “il corrispettivo, ancorché immateriale, è puramente ipotetico ed idealizzato dal Consiglio di Stato e si presta ad usi impropri ed a facilitare pratiche corruttive nell’affidamento degli incarichi, proprio quelle che il codice degli Appalti intendeva evitare” e che invece, per garantire legalità è correttezza è necessaria la previsione di “un equo compenso per l’attività del professionista, a tutela della dignità di quest’ultimo ma soprattutto degli interessi dei cittadini e della collettività”.
Gli fa eco Giuseppe Cappochin (in foto), Presidente del Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, secondo cui, oltre a evidenziare una profonda scollatura tra giustizia amministrativa e interesse pubblico, la sentenza dimentica che “in base all’art.24 comma 8 del D.Lgs 50/2016, l’ordinamento oggi vieta una prestazione d’opera professionale a titolo gratuito a vantaggio di una pubblica Amministrazione”. Alla luce di tale disposizione, continua Cappochin “non è lecito un bando che preveda offerte gratuite, essendo in tal modo assente, in base al vigente testo dell’art. 24 comma 8, un importo da porre a base di gara; infine, sempre in base all’art.24 comma 8 ter nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione con la conseguenza che anche il contratto di sponsorizzazione oggi non prevede lo scambio di denaro contro un’utilità immateriale”.
C’è poi chi ha scomodato persino la Costituzione, ritenendo che quanto stabilito dal Consiglio di Stato violi il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa'” sancito dall’art. 36 della nostra Carta fondamentale.
Si temono poi soprattutto gli effetti distorsivi dell’avallo del comportamento delle amministrazioni pubbliche che istruiscono bandi per prestazioni professionali gratuite – è già una prassi, come fa notare Gianmario Gazzi, presidente degli assistenti sociali, cui sono giunte plurime segnalazioni di bandi gratuiti di comuni siciliani. Oltre al timore di fornire uno strumento in più per i fenomeni corruttivi (come suggerisce Zambrano) ci si chiede perché mai un professionista dovrebbe prestare opera per la p.a. di fronte alla prospettiva di un mancato guadagno, soprattutto laddove la stessa prestazione, in ambito privato, sarebbe retribuita. (V.D. per NL)