Una delle più importanti novità per gli operatori del diritto e per i cittadini introdotta dal Decreto Legge 22 giugno, n. 83 (cosiddetto “Decreto Sviluppo”), convertito dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134 (G.U. n. 187 del 11 agosto 2012), operativa da ieri – 11 settembre 2012 – riguarda la previsione da parte del legislatore della necessità di una delibazione preliminare della Corte d’Appello incentrata sulla ragionevole probabilità di accoglimento del gravame.
Della novità ci eravamo già occupati in precedenza, ponendo l’accento sugli aspetti più innovativi della disciplina, essenzialmente volta alla deflazione del contenzioso civile, peraltro coordinata con importanti modifiche alla L. 24 marzo 2001, n. 89 (l’arcinota “Legge Pinto”), relativa alla risarcibilità da parte dello Stato ai cittadini dovuta all’irragionevole durata dei processi. Fin da subito, la più attenta dottrina (cfr. L. Viola, www.altalex.it, 20/08/2012) ha fornito conto di talune critiche che potrebbero essere mosse alla novella legislativa, facendo leva essenzialmente su tre aspetti, riconducibili al nuovo schema processuale. In proposito, i Collegi – già oberati da un notevole carico giudiziario – potrebbero essere indotti a saltare a piè pari la possibilità di dichiarare con ordinanza motivata l’inammissibilità dell’atto d’appello, ammettendo la trattazione di tutti i contenziosi (come del resto accade oggi). Ciò nondimeno, la possibilità di statuire in merito alla ragionevolezza dell’appello in funzione di una gradazione della probabilità di accoglimento dell’impugnativa, appare di per sé una norma che presta il fianco ad un’eccessiva discrezionalità del Giudice, il quale, comunque, per motivare adeguatamente la propria decisione preliminare, dovrà studiarsi bene ed approfonditamente gli atti di causa già prima dell’udienza di trattazione. L’eventuale ordinanza di inammissibilità ricorribile per Cassazione, poi, non prospetta una riduzione dei tempi della giustizia, particolarmente lenta proprio in tale grado di giudizio. Critiche a parte, l’aspetto tra i più innovativi della riforma è la diversa impostazione della quale il difensore dovrà tenere conto per operare un vero restyling dell’atto d’appello. Infatti, già di primo acchito la Corte dovrà rilevare elementi per apprezzare una sorta di “fumus bonis iuris rafforzato” (cfr., L. Viola, cit.). L’impugnazione, difatti, dovrà contenere – oltre che gli elementi prescritti dall’art. 163 c.p.c. – l’indicazione delle parti del provvedimento che s’intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata; tutti requisiti per i quali la novella richiede la compresenza a pena di inammissibilità dell’appello stesso. Dunque, dimentichiamoci l’indulgenza della formulazione ante riforma dell’art. 342 c.p.c., per il quale erano sufficienti, nell’atto di impugnazione, “esposizione sommaria dei fatti” e “indicazione dei motivi specifici di appello”. D’ora in poi, il Collegio, fin da subito, dovrà percepire la necessità di procedere con l’ulteriore grado di giudizio; diversamente, il filtro arresterà la prosecuzione del processo. (S.C. per NL)