Procedimenti amministrativi

I principi generali dell’azione amministrativa nell’ordinamento nazionale ed in quello comunitario


da Diritto.it

1. Introduzione. I principi del diritto amministrativo italiano alla luce dell’integrazione comunitaria 2.1 I principi procedimentali comuni al diritto amministrativo europeo e nazionale. I principi attinenti all’esercizio congiunto delle funzioni comunitarie 2.2 Segue. I principi in materia di organizzazione 3.1.1 I principi dell’ordinamento amministrativo italiano e le modifiche introdotte dalla legge n. 15 del 2005. Il principio di trasparenza 3.1.2 Segue. I principi di introduzione comunitaria – 3.2 I principi di derivazione giurisprudenziale e costituzionale. Principio di legalità, imparzialità e buona amministrazione 4. Conclusioni.

1. Introduzione. I principi del diritto amministrativo italiano alla luce dell’integrazione comunitaria
L’approvazione nel 2005 da parte della Camera dei Deputati del disegno di legge n. 3890, “Berlusconi, Frattini ed altri”, ha introdotto una serie di significative innovazioni nella disciplina del procedimento amministrativo italiano[[1]]. La modifica legislativa, infatti, favorisce un duplice effetto integrativo. Da una parte, recepisce gli orientamenti venutisi a consolidare nella giurisprudenza successiva alla legge n. 241 del 1990. Dall’altra parte, solidifica il legame con i valori giuridici propri dell’ordinamento comunitario, dando loro un ulteriore e significativo riconoscimento.
La presente ricerca intende muovere i primi passi proprio da quest’ultimo assunto, constatando come il nucleo di principi che la dottrina riconduce tradizionalmente allo svolgimento del procedimento amministrativo si sia arricchito nel corso degli anni. Tra le cause principali, non è negabile, hanno giocato un ruolo significativo le esperienze maturate in seno ai Tribunali nazionali, che hanno attribuito significato concreto – talora sciogliendo nodi interpretativi di portata non trascurabile – all’impianto normativo originariamente predisposto nel 1990[[2]. Al tempo stesso però, grande influenza ha avuto il processo di integrazione europea, che ha condotto progressivamente le principali fattispecie procedimentali ad assimilarsi. ]
L’intenzione, pertanto, è quella di svolgere un’analisi comparata[[3]], da suddividersi lungo l’arco di quattro direttrici: quella che generi un raffronto tra l’uno, l’ordinamento amministrativo europeo, e l’altro, quello italiano. Quella che induca ad una desunzione, discendente da quell’esame, delle differenze che permangono tra le due sfere. Ma anche, e soprattutto, dei punti di contatto. Poi, quella che favorisca una declinazione dell’intera analisi all’interno del paradigma dei principi generali del procedimento amministrativo italiano. Infine, ma non meno importante, avendo riportato il discorso dei principi a livello nazionale, quella che offra brevi cenni alle nuove elaborazioni giurisprudenziali, in particolare quelle generatesi successivamente al 2005.
Il tutto, fondato sull’opinione di fondo per cui tra le due sfere ordinamentali – ed i loro principi – si possa individuare oggi non più semplicisticamente un rapporto di causa ed effetto. Piuttosto, una struttura articolata e complessa, nella quale le dinamiche evoluzionistiche si intrecciano, producendo un’integrazione destinata a divenire, nel futuro prossimo, assimilazione e, nel futuro più lontano, identità[[4]].

2.1 I principi procedimentali comuni al diritto amministrativo europeo e nazionale. I principi attinenti all’esercizio congiunto delle funzioni comunitarie
Per quanto riguarda l’insieme dei principi procedimentali comuni al diritto amministrativo europeo ed italiano si possono individuare due principali gruppi di principi procedimentali. Il primo comprende quelli che operano in riferimento all’esercizio congiunto delle funzioni comunitarie caratterizzati dalla comunione di funzioni. Il secondo gruppo attiene invece l’organizzazione amministrativa comunitaria e, più specificamente, la disciplina delle organizzazioni comuni alle autorità sovranazionali ed interne[[5]]. Entrambi, con modalità e logiche differenti, contribuiscono allo sviluppo di un sistema integrato tra procedure amministrative.
Nella prima categoria operano quei principi che più da vicino informano l’esercizio dell’azione amministrativa[[6]], mutuabili sia dalle norme del Trattato sia dall’elaborazione giurisprudenziale generata dalla Corte di giustizia. Dunque, in particolare i principi di buona amministrazione procedurale, in cui si comprendono quattro diversi istituti: il diritto di accesso ai documenti dei poteri pubblici comunitari (originariamente oggetto di un apposito Codice di condotta di Commissione e Consiglio e successivamente costituzionalizzato attraverso l’inserimento nel Trattato comunitario). Il diritto ad essere ascoltati (contemplato dalla normativa di settore)[[7]]. L’obbligo di motivazione (disciplinato dal Trattato comunitario all’articolo 253 ed ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia[[8]]) ed il duty of care, ovvero l’obbligo di svolgere un’istruttoria imparziale e diligente che raccolga e valuti tutte le circostanze fattuali e giuridiche pertinenti[[9]].
È peraltro interessante verificare in che modo e con quale intensità questi principi hanno trovato accoglimento presso i procedimenti amministrativi nazionali. La buona amministrazione procedurale ha costituito infatti un tema portante in quei Paesi, come l’Italia, che sono giunti relativamente tardi alla definizione legislativa del procedimento. In questo senso l’integrazione europea ha giocato un ruolo fondamentale, perché ha influenzato profondamente le scelte del legislatore. Ha, inoltre, determinato un progressivo e costante assorbimento dei nuovi principi da parte della giurisprudenza prima, e del legislatore poi[[10]].

2.2 Segue. I principi in materia di organizzazione
Alla seconda categoria appartengono, come si è detto, quei principi che esercitano un riflesso in materia di organizzazione. Tra tutti, massima rilevanza merita anzitutto il principio di legalità[[11]], il cui fondamento normativo suole rinvenirsi nell’articolo 164 del Trattato istitutivo, laddove affida alla Corte di giustizia il compito di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione”.
L’imposizione di un’azione amministrativa conforme al dettato del legislatore ha trovato basi solide nei singoli Stati, pur se in ragione di motivazioni diverse. In Paesi come la Germania, il procedimento amministrativo ha rappresentato uno sviluppo dello Stato di diritto, “nella misura in cui esso attribuisce una dimensione procedimentale al principio di legalità della pubblica amministrazione”[[12]].
Altrove, ad esempio in Francia, l’applicazione del principio è stata favorita in particolare dalla giurisprudenza. Questa ha saputo vincolare il potere esecutivo al rispetto del dettame democratico, influenzando in modo significativo tutti gli altri governi, tra cui quello italiano. Con la significativa differenza che questi hanno per lo più recepito il principio di legalità in leggi generali sul procedimento mentre la Francia ha lasciato che fosse il giudice a garantirne l’applicazione.
Poi, il principio di imparzialità, che sancisce la separazione e la neutralità dell’amministrazione rispetto alla politica[[13]], che è venuto acquisendo un’importanza crescente negli ultimi anni, appunto in ragione del processo di integrazione. Infatti, garantendo la separazione attraverso l’imposizione del rispetto di criteri di massima precedentemente fissati, o già seguiti in casi analoghi, conforma tra loro i suddetti principi e l’operato amministrativo della Comunità. In tal senso è stato fondamentale il contributo di Paesi come la Spagna che, forti di un’antica tradizione procedimentale alle spalle, da sempre individuano nell’operato imparziale una garanzia essenziale del procedimento amministrativo.
Un terzo principio, di proporzionalità, è derivato direttamente dall’interpretazione dottrinaria tedesca, in virtù del quale le istituzioni comunitarie non possono imporre obblighi e restrizioni agli amministrati in misura superiore a quella strettamente necessaria a quella finalizzata alla realizzazione degli interessi pubblici loro affidati[[14]].
Anche qui si possono svolgere due considerazioni. Il fatto anzitutto che questo costituisca un esempio evidente del recepimento comunitario dei principi nazionali. Al tempo stesso, con riguardo ai singoli procedimenti amministrativi, le diverse modalità con le quali è stato disciplinato. In Italia ad esempio la proporzionalità si è legata all’esercizio discrezionale di potere amministrativo, fornendo al giudice un metro di valutazione per l’eccesso di potere.
Infine, il principio di sussidiarietà (enunciato dall’articolo B del Trattato sull’Unione) che, imponendo l’intervento di quel potere in grado di assicurare la realizzazione più efficace degli obiettivi comuni, inevitabilmente incide sulla ripartizione dei compiti tra diversi livelli di amministrazione e sulle relative modalità di svolgimento[[15]].
Va aggiunto che il principio, nella sua accezione “orizzontale”, ha operato nel senso di una delimitazione della sfera pubblicistica a fronte di quella privata. Come osserva la dottrina[[16]], ciò è alla base delle tendenze nazionali alla progressiva liberalizzazione di attività soggette ad un forte condizionamento pubblico, nonché alle tendenze alla semplificazione dei procedimenti amministrativi.
Tralasciando le considerazioni di specie, si può senz’altro affermare che il nucleo dei principi sinteticamente evidenziato permette di giungere ad una prima, importante, conclusione: il diritto amministrativo comunitario e quello dei singoli Stati procedono di pari passo, perché operano sulla base di principi comuni. Essi cioè determinano una “convergenza verticale”[[17]] tra standards procedurali che accorciano le distanze tra Commissione e cittadini, avvicinando l’una agli altri, e viceversa.

3.1.1 I principi dell’ordinamento amministrativo italiano e le modifiche introdotte dalla legge n. 15 del 2005. Il principio di trasparenza
Esaurita la prima direttrice, e con essa la seconda, inerente le modalità con cui l’integrazione europea ha indotto il legislatore italiano, al pari degli altri legislatori europei, ad adattare l’ordinamento ai principi della giurisprudenza della Corte di giustizia e dei Trattati, pur nella permanenza di talune significative differenze, è bene svolgere un approfondimento del sistema italiano. Questo, costituirà il terzo passaggio della ricerca.
In particolare, è necessario porre anzitutto l’attenzione sui cambiamenti che sono stati apportati dalla legge n. 15 del 2005. Limitando l’attenzione ai principi, che restano il tema centrale del discorso, si possono isolare due considerazioni.
La prima attiene l’introduzione del principio di trasparenza accanto a quelli già menzionati dalla disposizione: economicità, efficacia, pubblicità. Si tratta in realtà di un principio già pacificamente riconosciuto nell’ordinamento, in ragione sia dell’attività giurisprudenziale italiana e comunitaria sia dell’applicazione della disciplina sull’accesso, di cui costituisce un punto fermo.
Il principio comporta fondamentalmente la piena conoscibilità esterna del procedimento amministrativo, legandosi pertanto a tutte le ipotesi nelle quali si chiede la partecipazione dei soggetti, ed obbligando l’amministrazione a comunicare l’avvio del procedimento, o anche a motivare le ragioni che sono alla base del provvedimento stesso.

3.1.2 Segue. I principi di introduzione comunitaria
La seconda, e più significativa, considerazione ha riguardo all’articolo 1, e riprende il tema del recepimento di alcuni principi comunitari[[18]]. Così come per la trasparenza, anche in questo caso va detto che molti dei principi in questione sono stati in realtà già recepiti dalla giurisprudenza e non costituiscono dunque una grande novità. Del resto, già il comma 8, lettera c, della legge n. 59 del 1997 prevedeva la soppressione dei procedimenti amministrativi che fossero in contrasto con tali principi.
Tra quelli maggiormente innovativi se ne comprendono tre. Anzitutto il principio di proporzionalità, il cui impianto contenutistico è già presente nel nostro ordinamento in ragione del riconoscimento del principio di ragionevolezza (che impone all’amministrazione che agisca discrezionalmente di valutare la ragionevolezza della compressione della sfera giuridica del singolo) ma che, nella sua veste comunitaria, assume una nuova e più penetrante applicazione. In particolare, vincola le amministrazioni a non comprimere la sfera giuridica dei privati se non in presenza di giusti motivi.
Molto interessante è poi l’introduzione del principio di precauzione, che costituisce una significativa novità per il nostro ordinamento. Detto principio, che trova origine nei procedimenti comunitari posti a tutela dell’ambiente, consente all’amministrazione procedente di adottare provvedimenti (per lo più di natura restrittiva) laddove paventi il rischio di una lesione ad un interesse tutelato (quello alla cui tutela è preposta) anche in mancanza di un rischio concreto. In un secondo momento la stessa amministrazione dovrà accertare la sussistenza dei presupposti in virtù dei quali ha agito e confermare il proprio provvedimento o, al contrario, interromperne la produzione degli effetti. Interessanti saranno dunque i possibili sbocchi applicativi che il principio potrà avere nel nostro ordinamento, soprattutto al di fuori delle ipotesi legale alla tutela ambientale.
Ultimo, ma non meno importante, è il principio del legittimo affidamento. In buona sostanza, per il suo tramite si tutela il legittimo affidamento di un privato nei confronti di un atto posto in essere dall’amministrazione, obbligando quest’ultima ad indennizzarlo qualora decidesse di ritirare l’atto dall’ordinamento e, di conseguenza, produrre un effetto sfavorevole sulla sfera giuridica del privato. L’ipotesi dell’indennizzo viene contemplata espressamente dal nuovo articolo 11 della legge sul procedimento (qualora l’amministrazione intenda recedere da un accordo precedentemente concluso, ovviamente in assenza di una causa adducibile al privato) e dall’articolo 21 quinquies, in tema di revoca, che prevede anch’esso l’indennizzabilità nel caso di lesione dei c.d. vested rights[[19]].

3.2 I principi di derivazione giurisprudenziale e costituzionale. Principio di legalità, imparzialità e buona amministrazione
Accanto ai principi di derivazione comunitaria, si pongono i principi di tradizionale derivazione interpretativa. Si tratta, in particolare, del principio di legalità, del principio di imparzialità e del principio di buona amministrazione.
Il principio di legalità, secondo una definizione pacifica[[20]], intende qualificare la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni poste dalla legge. Come tale, esso impone all’Amministrazione procedente di rispettare le procedure previste dalla legge ed i diritti dei soggetti coinvolti, che dalla legge vengono tutelati.
In altre parole, il principio di legalità[[21]] – nella sua accezione più generale – impone all’attività amministrativa di seguire i fini determinati dalla legge, e si concreta nell’esigenza che quegli stessi atti amministrativi siano tipici e nominati. Tipici, in quanto espressamente previsti dalla legge. Nominati, poiché ammissibili solamente in presenza dei presupposti e dei motivi che la legge stessa si premuri di indicare[[22]].
La tipicità in particolare, corollario del principio di legalità, opera riguardo al contenuto ed alla funzione del provvedimento. Al contenuto, perché ogni provvedimento deve essere previsto espressamente dalla legge, rispondendo alla figura che questa struttura. Alla funzione, perché ciascun provvedimento deve estrinsecare un potere che la legge attribuisce già alla pubblica Amministrazione. Deve cioè corredarsi di una causa tipica, come accade nel diritto privato per il negozio giuridico[[23]].
Il principio di imparzialità, a sua volta, trova il suo fondamento nella Costituzione, negli articoli 3 e 97, affermando l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia[[24]].
Da ultimo, il principio di buona amministrazione è uno di quelli che ha trovato maggiori richiami nelle più recenti politiche legislative di riforma delle Amministrazioni pubbliche e dei servizi da queste erogati.
In particolare, si è invocata la buona amministrazione per qualificare, e giustificare, interventi tesi ad introdurre procedimenti informatizzati in sostituzione di quelli tradizionali[25][26]; ristrutturare il pubblico impiego; destrutturare e decentrare le sedi logistiche dei Ministeri e delle Amministrazioni centrali[[26]]. Più in generale, l’intero arco delleriforme amministrative ha potuto realizzarsi, senza peraltro giungere ancora ad estinzione, proprio grazie alla “malleabile” interpretazione offerta dal principio di buona amministrazione.
Senza dimenticare che a differenza del settore privato, dove l’esigenza di trasformazioni strutturali è una costante necessaria alla quale si legano l’esigenza di mantenere elevati livelli di competitività e, conseguentemente, di concorrenzialità sul mercato, i Governi hanno dovuto fronteggiare ostacoli significativi[[27]]. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alle conseguenze che sono derivate dalle dimensioni abnormi raggiunte da numerose strutture pubbliche ed alla difficoltà di coniugare la sfera degli interessi politici con quelli burocratici[[28]].
Di conseguenza, nel corso di questo processo evolutivo, le ragioni che sono state poste a fondamento delle innovazioni nella gestione delle politiche pubbliche, sono state numerose ed hanno coinciso, volta per volta, con le principali difficoltà che si frapponevano tra l’ideologia riformatrice e la sua concreta attuazione. Tuttavia, se si restringe il campo dellaricerca a quelle più frequentemente ricorrenti[[29]] ciascuna si dimostrerà riconducibile proprio al principio di buona amministrazione. Tra queste, soprattutto la motivazione costituita dalla definitiva maturazione della volontà politica di dare vita a riforme concrete nel settore pubblico[[30]]. La crisi da cui fu investito il sistema politico italiano nei primi anni Novanta condusse infatti all’esigenza di rinnovare, assieme alla classe politica, anche quella dirigenziale e, più in generale, l’immagine della Pubblica Amministrazione, divenuta l’emblema del malgoverno precedente. Fu in particolare il Rapporto sulle condizioni delle Pubbliche Amministrazioni, pubblicato dal Dipartimento della Funzione Pubblica nel 1993, a dare un quadro della crisi ed a costituire, al tempo stesso, il punto di partenza per il rinnovamento[[31]]. Benchè infatti quest’ultimo non fosse il primo documento a svolgere un’analisi così complessa – ed, anzi, vantasse precedenti illustri[[32]] – fu il primo ad offrire un quadro dettagliato ed approfondito della situazione. Il rapporto, riteneva il primo pacchetto delle riforme uno strumento determinante per il ritorno ai principi di buona amministrazione.

3. La giurisprudenza successiva al 2005 nel recepimento dei nuovi (e vecchi) principi dell’azione amministrativa
Brevi considerazioni conclusive meritano di essere svolte con riferimento alla giurisprudenza nazionale in tema di principi dell’azione amministrativa. In verità, un’analisi complessiva, che avesse considerato anche le pronunce del giudice comunitario, per quanto interessante avrebbe chiesto uno spazio superiore a quello consentito. Parimenti, un approfondimento della giurisprudenza antecedente al 2005 avrebbe impedito alla ricerca di concludersi in poche ed essenziali considerazioni, com’era nelle intenzioni.
Si è deciso pertanto di operare brevi cenni a quelle sentenze che sono parse maggiormente in linea con l’applicazione dei nuovi principi esposti nella legge n. 241 ed, in parte, con quelli già noti al nostro ordinamento. Il richiamo va anzitutto alla giurisprudenza in tema di certezza temporale del procedimento, le cui previsioni recepiscono il principio di buona amministrazione e, latu sensu, quello di legalità. In tema, va ricordato che le modifiche legislative del 2005 hanno inciso sull’art.2 della legge n. 241 limitatamente alla modifica del termine residuale per la conclusione dei procedimenti, che è stato portato a 90 giorni e, soprattutto, sembrerebbero aver ristretto la portata precettiva della norma alle sole amministrazioni statali, escludendone l’operatività, quanto alle modalità di individuazione del termine finale, ad esempio, per le amministrazioni locali e regionali.
In tema di termine per la conclusione del procedimento, si segnala un orientamento giurisprudenziale, tendenzialmente prevalente, che ha affrontato il problema relativo alla legittimità del provvedimento emanato dall’Amministrazione successivamente alla scadenza del termine fissato per la conclusione del procedimento[[33]], concludendo per la legittimità dello stesso in quanto l’Amministrazione non perde, comunque, il potere di provvedere. L’unica conseguenza che può derivare da tale comportamento è la formazione dell’inadempimento procedimentale, impugnabile dall’interessato attraverso la formalizzazione del cd. silenzio-rifiuto, ovvero un’eventuale ipotesi di responsabilità della PA da ritardo.
Un secondo problema riguarda l’istituto del silenzio ed il principio di legalità. la giurisprudenza si è chiesta se fosse possibile individuare le situazioni concrete in cui ravvisare, in capo all’Amministrazione, un obbligo giuridico di provvedere, anche al di fuori dei casi in cui vi sia una norma ad hoc che imponga tale obbligo[[34]].
Copiosa, infine, la giurisprudenza in tema di accesso. In particolare la questione circa la sua qualificabilità a diritto soggettivo o interesse legittimo è significativa perché, secondo alcuni[[35]], l’accesso dovrebbe addirittura considerarsi un principio dell’ordinamento amministrativo (non potrebbe pertanto qualificarsi come interesse legittimo).

4. Conclusioni
Ciascuno degli aspetti trattati meriterebbe ben altre riflessioni ed approfondimenti. L’intenzione di questo scritto non era tuttavia quella di concentrare i propri sforzi sulle numerose problematiche interpretative che si legano a ciascuno dei principi dell’azione amministrativa. Piuttosto, si voleva dimostrare come l’Amministrazione pubblica sia vincolata, oggi più di ieri, al rispetto di precise modalità di azione, proprio in ragione della sussistenza dei principi dell’ordinamento. Per tale dimostrazione, si voleva riaffermare la prima (e forse unica) funzione dei principi: garantire il cittadino dai soprusi del potere pubblico e del suo esercizio.
L’obiettivo, seppur attraverso un iter eclettico, può dirsi raggiunto. Confidando nella volontà dei lettori per le necessarie ricerche di approfondimento, la certezza è quella di aver offerto un panorama senz’altro complesso, ma non altrimenti ipotizzabile. L’impianto garantistico del cittadino del XXI secolo richiede, infatti, più che mai l’affermazione solida e certa di principi, che ne presiedano la tutela e, per questa via, ne garantiscano l’esistenza.

Gianluca Sgueo

[1] In questa sede si affronteranno solamente una minima parte delle significative modifiche attribuite al procedimento amministrativo dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. Per gli ulteriori approfondimenti si rimanda alla lettura di Cerulli Irelli V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in Astrid Rassegna, 2005, IV, pag. 1: “Le principali innovazioni si possono raggruppare in quattro serie. Anzitutto quelli che riguardano i principi generali dell’azione amministrativa, e i rapporti tra diritto pubblico e diritto privato, e quindi l’utilizzabilità dell’una o dell’altra disciplina nell’esercizio dell’amministrazione. In secondo luogo, quelle che riguardano il procedimento, in quanto tale, e le modalità della sua conclusione; (…). In terzo luogo, le norme che riguardano i procedimenti di secondo grado, la disciplina della efficacia e della esecuzione del provvedimento, la disciplina dell’invalidità. (…) In quarto luogo, la nuova legge riscrive la disciplina dell’accesso.
[2] Prima del 1990 non esisteva, nell’ordinamento italiano, una legge che disciplinasse il procedimento amministrativo. Di conseguenza, anche l’affermazione dei principi generali era lasciata agli orientamenti interpretativi dei giudici amministrativi. Le poche garanzie procedimentali concesse agli interessati erano quelle che prevedeva la legge abolitrice del contenzioso amministrativo (legge n. 2248 del 1865, allegato e). Questa infatti, nell’abolire ogni forma di tutela giurisdizionale per l’interesse legittimo (successivamente ripristinata già a partire dal 1889, con l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato) aveva previsto un dovere di motivazione in capo all’amministrazione, nonché la possibilità per gli interessati di presentare documenti in seno al procedimento che fossero pertinenti allo stesso.
[3] Per la migliore definizione di comparazione, e per un prezioso approfondimento della materia, nei suoi termini più generali, si rimanda ad uno dei maestri, Pizzorusso A., Sistemi giuridici comparati, Milano, 1998
[4] Per ulteriori approfondimenti sul processo di integrazione europeo (e globale) in campo amministrativo si rimanda alla lettura di Cassese S., Lo spazio giuridico globale, Bari, 2003, pagg. 163-185, che traccia un profilo complessivo delle riforme subite dal diritto amministrativo, soffermandosi in particolare sulla “europeizzazione” delle amministrazioni pubbliche. Secondo l’autore, questa tendenza imposta dalla Comunità europea avrebbe prodotto, da un lato, l’adattamento interno delle amministrazioni nazionali al nuovo organismo sovranazionale e tuttavia, al tempo stesso, alla ricerca di idonei strumenti per influenzare le decisioni comunitarie ; Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 403: “Il tema del procedimento amministrativo europeo è stato inizialmente poco considerato nel quadro giuridico della Comunità europea. Le ragioni della scarsa attenzione sono in parte le medesime che anche negli ordinamenti nazionali hanno a lungo posto in secondo piano il procedimento amministrativo; in altra parte sono connesse agli specifici tratti del sistema comunitario” ; Gualmini, E., L’amministrazione nelle democrazie contemporanee, Bari, 2003. L’autrice offre infatti una panoramica complessiva sull’evoluzione subita dalle strutture amministrative di cinque grandi democrazie contemporanee: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Spagna, Germania e Italia. Consente dunque di avere chiare le ragioni di fondo che sono alla base del processo di mutazione e, per certi versi, di integrazione. Nello specifico poi si sofferma sulla tematica delle procedure amministrative, offrendo tutte le considerazioni necessarie ad una migliore comprensione del discorso in oggetto: quello attento ad una logica comparativista.
[5] Una classificazione parzialmente diversa è quella operata da Chiti, E., Franchini, C., Gnes, M., Savino, M., Veronelli, M., Diritto amministrativo europeo – casi e materiali, Milano, 2005, pag. 127 ss., in virtù della quale si danno tre principali categorie: “La prima comprende i principi stabiliti nei Trattati e nel diritto derivato, nonché quelli di formazione giurisprudenziale, applicabili alla procedura che si svolge in sede comunitaria. La seconda è composta dalle fonti nazionali che regolano le sequenze nazionali del procedimento misto. Vi sono, poi, norme e principi giurisprudenziali europei desunti dai principi comuni agli Stati membri che disciplinano i procedimenti amministrativi nazionali”. Sulla questione si sofferma anche Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 226 ss., il quale sostiene che non esista un esauriente catalogo di questi principi, ma che, con un buon margine di approssimazione, li si possa distinguere tra principi aventi un fondamento nella codificazione normativa; principi desumibili dalle norme dettate dalle istituzioni europee, e principi elaborati dall’attività giurisprudenziale.
[6] Rilevano significativamente Chiti, E., Franchini, C., L’integrazione amministrativa europea, Bologna, 2003, pag. 107: “…le regole di carattere generale dell’azione amministrativa (…) non possono farsi discendere né dalle stesse normative settoriali riconducibili ai modelli della coamministrazione e dell’integrazione decentrata, non omogenee sotto il profilo procedimentale, né da una normativa comunitaria sul procedimento amministrativo, generale o relativa ad alcuni principi, della quale, come noto, l’ordinamento europeo è privo”.
[7] Per una panoramica completa di questo diritto, si veda Bignami, F., Tre generazioni di diritti di partecipazione, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pagg. 87 ss.
[8] Cfr. Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 415: “Fin dalla prima giurisprudenza comunitaria (…) l’obbligo di motivazione è stato considerato un elemento sostanziale del diritto procedimentale dello Stato di diritto (…). Il requisito è particolarmente enfatizzato, garantendo ulteriormente il diritto alla difesa nel caso dei provvedimenti sfavorevoli od a riferimento soggettivo specifico”.
[9] L’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia di questo fondamentale principio è quella dell’applicabilità assoluta, a prescindere cioè dalla presenza di previsioni legislative o della sussistenza di un rapporto diretto tra cittadino ed amministrazione comunitaria. Al riguardo, interessanti osservazioni vengono svolte da Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 230: “…il principio di buona amministrazione assume una duplice valenza. Da un lato, viene fatto valere come obbligo di perseguimento dell’efficiente ed efficace impiego delle risorse finanziarie erogate dalla Comunità (art. 188E e 205). Dall’altro, viene inteso come vincolo al rispetto delle diverse fasi in cui si articola il procedimento, sicché è illegittimo iniziare quella successiva, se la fase precedente non si è ancora conclusa ovvero non sono decorsi i termini per il suo svolgimento, per esempio se si tratta di una fase consultiva”.
[10] Per le ulteriori considerazioni si rimanda alle pagine che seguono, ove si offrirà una trattazione più dettagliata del principio di buona amministrazione nel contesto nazionale.
[11] Cfr., in senso critico, Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 410: “Per la circostanza che il principio di legalità è l’unico principio veramente comune a tutti gli Stati membri, e per la sua centralità nella costruzione dell’ordinamento comunitario, è dato per pacificamente acquisito malgrado nel diritto comunitario non siano precisate con nitore simile a quello degli ordinamenti nazionali alcune nozioni chiave come legge, attività esecutiva, atto amministrativo”. Si veda anche Franchini, C., I principi applicabili ai procedimenti, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 284: “…questo, d’altra parte, viene ormai interpretato dal giudice comunitario come sottoposizione dell’amministrazione non specificamente alla legge, ma al diritto in generale”.
[12] Weber, A., Il procedimento amministrativo in Germania, in Sandulli, M.A., Il procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione, Milano, 2000, pag. 37.
[13] Cfr. Picozza, E., Alcune riflessioni circa la rilevanza del diritto comunitario sui principi del diritto amministrativo italiano, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1992, pagg. 1209-1241, secondo cui si consentirebbe, tramite esso, di assicurare la piena concorrenzialità e, di conseguenza, l’effettività del mercato unico.
[14] In merito al recepimento di questo ed altri principi ad opera del legislatore italiano si confronti Cerulli Irelli, V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241”, in Astrid Rassegna, 2005, IV pag. 3: “…in diritto comunitario, il principio acquista una forte accentuazione circa il rispetto delle posizioni dei soggetti privati a fronte di esigenze di intervento pubblico. Esso guarda più all’esigenza di non limitazione, se non nei casi di stretta necessità, della libertà dei privati, piuttosto che all’esigenza della migliore soddisfazione dell’interesse pubblico”. Cfr. anche Della Cananea, G., I procedimenti amministrativi della comunità europea, in Chiti, M.P., Greco, G., Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2003, pag. 228: “Il principio di proporzionalità richiede che le potestà conferite ed esercitate dalle istituzioni pubbliche siano idonee al raggiungimento degli scopi perseguiti dalla Comunità che risultino necessarie e non eccessive rispetto a tali scopi”. Interessanti osservazioni le svolge poi Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 412: “…il principio di proporzionalità riguarda i limiti dell’azione dell’Unione rispetto a quella degli Stati; ma ovviamente il principio non si esaurisce qua, potendo rilevare come criterio dell’azione amministrativa nei rispetti della sfera dei soggetti coinvolti”. Pertanto, prosegue l’autore, l’applicabilità del principio si esntende progressivamente anche a quei Paesi dove erano stati elaborati originariamente altri principi, simili ma meno estesi. L’esempio è quello del principio di unreasonableness, operante nel Regno Unito ed oggi arricchito contenutisticamente dall’apporto teorico del principio di matrice comunitaria.
[15] Cfr. Cassese, S., L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Il Foro Italiano, 1995, V, pagg. 374-378
[16] In particolare, Chiti, M.P., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, pag. 414 ss.
[17] L’espressione è usata da Cassese, S., Il procedimento amministrativo europeo, in Cassese, S., Bignami, F., Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Milano, 2004, pag. 48: “L’effetto (…) è stato indicato come convengenza verticale”.
[18] Come tali si devono intendere in particolare quelli elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giuritizia della Comunità Europea, nonché quelli recepiti in via generale dall’art. II, comma 101, della Costituzione Europea che disciplina il diritto ad una buona amministrazione.
[19] Cfr. Cerulli Irelli V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in Astrid Rassegna, IV, 2005, pag. 25: “…forti limitazioni sussistono alla rimozione (da intendersi comprensiva anche della revoca ex nunc) di precedenti provvedimenti che hanno costituito in capo a terzi situazioni di vantaggio (vested rights)”.
[20] Si veda, in proposito Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pagg. 560 ss., ove si qualificano approfonditamente le tre modalità interpretative che lo connotano. Qualificate dall’autore come legalità in senso debolissimo, debole e forte.
[21] Così come nel caso delle fonti del diritto, anche per il principio di legalità la produzione interpretativa è notevole. Qui, tuttavia, interessa esclusivamente averne una concezione generale, attenta ai profili garantisti dello stesso. Per approfondimenti si suggerisce la lettura di Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pagg. 560 ss.
[22] Cfr. sul principio di tipicità Cassese S., Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2004, pag. 9: “Nella sua accezione più ampia, il principio di legalità comporta il rispetto della tipicità e nominatività degli atti (possono essere emanati solo gli atti espressamente previsti dalla legge e solo in presenza dei presupposti e per i motivi da questa indicati, per cui non sono ammessi atti misti o innominati)”.
[23] La causa di un atto amministrativo costituisce una spetto controverso in dottrina. Non tutti gli autori infatti concordano nel considerare la causa come un requisito del provvedimento. Su tutti, si veda Virga P., 2001, ove sostiene che la causa costituirebbe in realtà un elemento caratterizzante lo stesso potere amministrativo, in ragione del quale quello dovrebbe essere esercitato. In particolare l’esercizio di potere discrezionale dovrebbe rispondere, secondo l’autore, alla causa per cui il legislatore ha attribuito quella facoltà di scelta all’amministrazione.
[24] V. Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pag. 561: “Si comprende, evidentemente, che la imparzialità va intesa anzitutto come equidistanza tra più soggetti pubblici o privati che vengono in contatto con la P.A.; ma deve necessariamente intendersi anche come capacità del responsabile del procedimento, nell’esperimento delle proprie funzioni, di raggiungere un grado di astrazione tale da far prevalere l’interesse pubblico solo se necessario o dopo una attenta ponderazione delle posizioni e dei valori di cui si fanno portatori coloro che si trovino in potenziale conflitto con la P.A. agente”.
[25] l’esigenza di informatizzare l’attività amministrativa per conseguire risultati più efficienti non è certamente una novità recente. Da anni ormai gli scienziati dell’amministrazione sottolineano i vantaggi del cd. e-government. Per una esposizione generale sul tema, con particolare attenzione al caso italiano, si veda Natalini A., Il tempo delle riforme amministrative, Bologna, 2006, pag. 149: “L’innovazione amministrativa poggia su quella tecnologica. Questo legame è stato evidenziato alla fine degli anni Settanta dal rapporto Giannini” ; Farnham D., Hondeghem A., Horton S., Staff participation and public management reform. Some international comparisons, Basingstoke, New York. 2005, pag. 9: “The impact of information and communication technologies (ICTs) is profundly affecting science, politics, democracy, education, culture and not least public management systems. Many public management reforms would not have been possible without the technological means to carry them through (…)” ; Di Paolo A., La riforma dell’amministrazione pubblica italiana attraverso l’applicazione dei principi del New Public Management, in L’amministrazione italiana, 2006, VII-VIII, pag. 992: “La riforma dell’amministrazione pubblica italiana (…) solo negli ultimi anni ha ottenuto una forte accellerazione evolutiva nell’operatività gestionale e organizzativa. Le motivazioni di questa accellerazione possono essere individuate in una serie di concause tra le quali: la presenza sul mercato di tecnologia a costi sempre più bassi; lo sviluppo dell’e-government; una conoscenza diffusa, curata anche per interesse di tipo personale e non solo lavorativo, dell’utilizzo degli strumenti informatici e un abbattimento del digital divide esistente tra i dipendenti e/o uffici all’interno delle aziende e degli enti” ; Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pag. 737: “Il processo di informatizzazione, inteso quale applicazione sempre più diffusa dell’elaboratore elettronico nei processi di produzione e nei rapporti sociali, ha fatto ingresso, seppur in ritardo, anche nella pubblica amministrazione. La dottrina ha elaborato a tale proposito il concetto di teleammnistrazione, vale a dire attività avente pieno valore formale, svolta dalla pubblica amministrazione a mezzo di terminali collegati ad un centro di elaborazione dati”. Riassunto per sommi capi, il processo di informatizzazione dell’Amministrazione italiana dal 1993 al 2005 si è strutturato lungo quattro tappe principali. Nel 1999, con l’articolo 4, comma 2, del D.Lgsvo n. 300, con il quale si è stabilito ch tutti i Ministeri i quali si avvalgono dei propri sistemi informativi automatizzati sono tenuti ad assicurare l’interconnessione con i sistemi analoghi delle altre amministrazioni centrali e locali per il tramite della “Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione”. Nel 2000, con l’articolo 36 del D.P.R. n. 445 (successivamente modificato dal D.Lgsvo n. 10 del 2002) che ha dettato le norme di principio per il rilascio della carta d’identità e di altri documenti di riconoscimento su supporto magnetico e informatico. Con la legge di semplificazione del 2001, il cui art. 10 ha previsto una delega al Governo per il coordinamento ed il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di società dell’informazione. Infine, nel 2003, con l’art. 176 del D.Lgsvo n. 196, che istituisce il CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) per favorire l’integrazione e l’interconnessione dei sistemi informativi delle Amministrazioni Pubbliche, anche attraverso l’emanazione di norme tecniche e criteri per la progettazione, la realizzazione e la gestione dei sistemi informativi automatizzati pubblici. Giungendo ai più recenti D.lgvo n. 42 del 2005 D.Lgvo n. 82 del 2005, che hanno inaugurato la seconda fase del processo di informatizzazione introducendo, rispettivamente, il “Sistema pubblico di connettività” ed il “Codice dell’amministrazione digitale”.
[26] Per un approfondimento sulle riforme amministrative in Italia, dai primi anni Novanta ad oggi, si vedano in particolare Araldi A., Pubbliche amministrazioni, qualità dei servizi e gradimento dei cittadini, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2004, XXIII-XXIV, pagg. 2601 ss. ; Mercati L., Efficienza, in Cassese S. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, pagg. 2146: “La definitiva emersione dell’efficienza quale fondamentale criterio dell’organizzazione e dell’attività amministrativa avviene con le riforme amministrative degli anni Novanta” ; Savino M., Le riforme amministrative, in Cassese S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, pag. 2169: “L’età delle riforme amministrative, in Italia, presenta due caratteristiche fondamentali. Innanzitutto, inizia solo nei primi anni Novanta (…). Inoltre, è segnata dal sovrapporsi di diversi percorsi e diverse finalità (…)” ; Cassese S., L’età delle riforme amministrative, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, I, pag. 79: “Riforma amministrativa indica una serie di interventi, promossi dal corpo politico o da quello amministrativo, per adattare le pubbliche amministrazioni al cambiamento economico e sociale” ; Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, pag. 6: “(…) a partire dalla fine degli anni Ottanta si è messa mano alla stagione delle riforme, ispirata all’esigenza di dettare i rimedi più idonei a produrre rapidi risultati, in attesa di un non facile e non veloce riprostino della moralità pubblica” ; Natalini A., Il tempo delle riforme amministrative, Bologna, 2006, pag. 20: “All’inizio degli anni Novanta le riforme amministrative hanno acquistato improvviso rilievo. A ciò hanno contribuito a far loro assumere un posto di riguardo nell’agenda dei Governi che si sono susseguiti alla guida del paese, ma, dall’altro lato, ne hanno determinato gli obiettivi, la conformazione, i contenuti”. Per la dottrina straniera valgano le osservazioni che svolgono Farnham D., Hondeghem A., Horton S., Staff participation and public management reform. Some international comparisons, Basingstoke, New York. 2005, pag. 10: “The reform movement appeared first in Anglo-Saxon countries and then spread to continental Europe during the 1980s and 1990s. After the collapse of communism in 1989 it spread to eastern European countries. The reforms that have been taken place have had a number of common political purposes”.
[27] V. Cassese S., L’età delle riforme amministrative, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, I, pag. 79: “Si tratta di interventi che non hanno riscontro nel settore privato, dove, infatti, il termine riforma è sconosciuto, mentre sono usati quelli di cambio o trasformazione, e l’adattamento al mercato e all’ambiente circostante avviene in modo continuo”.
[28] In merito, Cassese S., L’età delle riforme amministrative, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, I, pag. 79: “Il caso è particolarmente evidente al momento del cambiamento della maggioranza di governo. Se la nuova maggioranza vuole evitare di governare con gli strumenti propri della maggioranza che l’ha preceduta, deve cambiare in fretta gli strumenti amministrativi di cui dispone”.
[29] Non tutti gli autori concordano su questo punto. Ad esempio Farnham D., Hondeghem A., Horton S., Staff participation and public management reform. Some international comparisons, Basingstoke, New York. 2005, pagg. 3 ss., ne individuano 6: economic change; social change; technology; cultural change; management ideas e legal variables.
[30] Questo aspetto viene posto in particolare evidenza da Savino M., Le riforme amministrative, in Cassese S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, pag. 2276 ss., laddove si riconduce la prolungata inerzia degli esponenti della classe politica in alla mancanza di determinazione ed alla conseguente prevalenza delle politiche conservatrici.
[31] Si confronti, in merito, Righettini M.S., Elementi si scienza dell’amministrazione. Appunti sul caso italiano, Roma, 2005, pag. 38: “Il Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni (…) dà un quadro realistico delle condizioni della crisi: esso è il risultato di una intensa attività di studio e analisi delle disfunzioni di cui soffre il sistema amministrativo italiano alla vigilia della bufera giudiziaria”.
[32] Il precedente più significativo è costituito sicuramente dal Rapporto Giannini del 1979, ch3 sintetizzava i principali problemi dell’amministrazione italiana e proponeva dei rimedi adeguati. Tuttavia, la legge quadro sul pubblico impiego del 1983, che avrebbe dovuto recepirne il contenuto, finì per disattenderlo, mancando di introdurre innovazioni sostanziali nei principi organizzativi e negli assetti del pubblico impiego. Per un approfondimento si veda Righettini M.S., Elementi si scienza dell’amministrazione. Appunti sul caso italiano, Roma, 2005, pagg. 46 ss. ; D’Auria G., Giannini e la riforma amministrativa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2000, IV, pagg. 1211 ss., laddove, nello svolgere una disamina complessiva sul ruolo di Giannini nello sviluppo delle politiche pubbliche italiane, ci si sofferma sull’importanza dell’omonimo rapporto che poneva in evidenza in particolare l’arretratezza delle tecniche di amministrazione e l’opportunità di applicarvi l’utilizzo delle tecnologie già in uso nel settore privato ; Savino M., Le riforme amministrative in Italia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2005, II, pag. 435: “Fino agli anni Ottanta, le iniziative di riforma, suggerite da autorevoli studiosi o da commissioni di studio o intraprese da piccoli gruppi di funzionari, raramente si sono tradotte in leggi e, ancora meno frequentemente, in cambiamenti effettivi della realtà amministrativa italiana”.
[33] T.A.R. Lazio, sez. II, 14 giugno 2005 n. 4876.
[34] Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975 (fattispecie particolari in cui ragioni di giustizia ed equità impongono l’adozione di un provvedimento). In materia di repressione di abusi edilizi si vedano Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2004, n. 677; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I quater, 26 gennaio 2005 n. 578; TA.R. Liguria, 28 gennaio 2004 n. 104.
[35] In tal senso, un copioso orientamento giurisprudenziale propendeva per la qualificazione dell’accesso in termini di interesse legittimo, atteso il termine perentorio previsto per il ricorso giurisdizionale avverso le determinazioni della PA in tema di accesso. Tuttavia, nonostante il precedente illustre, si sono avute pronunce tendenti a qualificare l’accesso come vero e proprio diritto soggettivo. Con la riforma del 2005, la modifica incisiva sulle disposizioni relative all’accesso ha spinto il Consiglio di Stato ha riportare alla ribalta la questione della natura del cd. diritto di acceso, propendendo per la qualificazione in termini di diritto soggettivo.

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