E’ un’operazione di revisione complessiva che il regolatore britannico effettua ogni cinque anni e che dovrebbe portare nel 2010 a una serie di direttive che verranno recepite dal legislatore entro il 2012. Tra le questioni da affrontare c’è il finanziamento di Channel 4, l’ente radiotelevisivo (la radio è solo digitale) di pubblica proprietà ma finora supportato esclusivamente da introiti di natura commerciale. Channel 4 da tempo invoca la possibilità di attingere alle risorse pubbliche, cioè di poter usufruire di una parte del canone incassato dalla BBC. In Inghilterra parlano di top slicing, cioè di riallocazione di una voce di bilancio dipartimentale a una iniziativa gestita a livello centrale. In pratica si tratterebbe di limare qualcosa da qualche parte e ridirigerla verso Channel 4 (il termine top-slicing, letteralmente affettare dall’alto sembra di origine mineraria ed è riferita alle estrazioni di filoni verticali che vengono sfruttati non scavando tunnel orizzontali ma procedendo a scavare, dall’alto verso il basso, per gradoni successivi).
Sul Financial Times di qualche giorno fa, Peter Bazalgette, che è stato il capo di Endemol in UK, ha gettato un sasso nello stagno a proposito di top-slicing, invocando nientepopodimeno che la privatizzazione di BBC Radio 1 e Radio 2, i canali di maggior successo della Beeb. L’argomento di Peter è che è inutile parlare di top-slicing quando nel mercato radiofonico la BBC detiene il 55% dell’ascolto complessivo. La radio commerciale inglese va male perché gli inserzionisti vogliono poter contare su forti catene nazionali, cosa che con le stazoni locali analogiche e gli ensemble nazionali ma digitali (quindi ad ascolto più basso) non si può avere. Ergo, bisogna privatizzare. In alternativa si può privatizzare BBC Worldwide (che non è il World Service, ma la società preposta alla vendita della preziosa produzione televisiva di qualità della Beeb).
Why Radios 1 and 2 should be privatised
By Peter Bazalgette
February 17 2008
Channel 4 says that its funding model may collapse. It is one of several organisations attempting to get its hands on the BBC’s licence fee, like so many members of a family scrapping over the assets of an elderly relative.
This argument over “top-slicing” coincides with a new review of public service broadcasting from Ofcom, the media regulator. What is now needed, though, is a much more imaginative debate about how to sweat our broadcasting assets, rather than the squabbling we have seen so far.
[…]
It is extraordinary that the BBC has 55 per cent of the radio audience. The result is an emaciated commercial radio sector that can no longer afford to invest properly in its digital radio infrastructure (witness GCap’s recent retreat). What our commercial radio lacks is strong national stations that are attractive to advertisers.
The answer is to privatise BBC Radios 1 and 2 – the BBC’s two national stations that are not core to its news information mission. True, Radio 1 plays a healthy role pioneering new music but that can be made a condition for the new owners. The public would still have the stations they love but they would not be from the BBC (altogether now: “Auntie – you can’t do everything”). This move would revitalise the commercial radio sector and initial estimates suggest it could raise up to one billion pounds.
In a virtuous circle, that money could be hypothecated for Channel 4 and any other impoverished public service broadcasting purposes. For instance, ITV regional news services are under threat. Why not give this important task to Channel 4, so that we continue to have healthy competition in the supply of public service broadcasting news, both nationally and regionally?
Everyone wins with this idea – if we allowed the BBC to keep the licence fee at its current level this would release funds for additional investment in its other services.
However, the BBC is the most effective lobbyist in our political system. I expect them to do their best to howl down this sort of debate: they will argue that it needs Radio 1 to continue to engage younger audiences; that the proceeds of previous privatisations such as transmission and playout have all gone to the BBC because they owned the asset; that listeners to Radios 1 and 2 do not want to hear commercials.
There are answers to all of these arguments. The point is: let us have the debate. We need more imaginative ways of deploying our media assets to support public service broadcasting. And if not Radios 1 and 2, then why not privatise BBC Worldwide? It could also raise a billion. Discuss, as they used to say in history exams.
Una lettera apparsa oggi sull’FT risponde a questa provocazione affermando che il dominio dell’audience la BBC se l’è conquistato sul campo, reclutando le persone migliori e puntando sulla qualità. Perché la radio commerciale non ha fatto lo stesso? Perché, di fatto, non ha saputo far bene il proprio lavoro? Non dovrebbe essere proprio quello il punto di una privatizzazione, incentivare le persone a fare meglio?
Sir, Peter Bazalgette (“Why Radios 1 and 2 should be privatised”, February 18) asks for a debate – I am sure he will get one. The BBC has 55 per cent of the radio audience because it hires the best. The commercial stations had the world in their hands when Capital Radio and the rest were launched – but they muffed it.
You can’t blame the Beeb for getting on with the job. The inept management from the commercial stations has created their low market share. New ownership and management is needed to rectify the situation; five years of good work should fix it.
E qui naturalmente si può scatenare una discussione infinita sui meriti del pubblico o del privato. A me viene in mente che il famoso discorso del privato che incentiverebbe la qualità mi lascia sempre molto perplesso. Una stazione radio commerciale mira a vendere un sacco di pubblicità, e va bene. Ma non è detto che il predominio sull’audience sia sempre legato alla qualità in senso assoluto. Quando si tratta di mercato di massa conta quello che viene percepito come “qualità”. Non si spiegherebbe altrimenti perché in Italia i pessimi varietà televisivi pubblici e privati riescano a generare tutta quella audience. O i numeri sul pubblico sono falsi, o questo pubblico è stato condizionato al punto di accettare queste schifezze come fossero manicaretti squisiti. E a guadagnarci, con la vendita della pubblicità, sono i proprietari delle stazioni, mentre un buon programma pubblico può portare a “guadagni” intangiblii (sul piano culturale, della formazione civica, del benessere sociale) di valore inestimabile. Perché questi intangibili non dovrebbero pesare sulle decisioni dei legislatori? Dentro alla BBC stanno facendo un gran lavoro, con una dedizione che dimostra quanto siano ingenui (o in malafede) i soliti panegirici dello “spirito di intrapresa” che animerebbe i dipendenti delle aziende private, coi loro sistemi di incentivazione e il clima di eterna competizione. I programmisti della Beeb, evidentemente, non percepiscono i soldi pubblici solo per scaldare le sedie. E’ una win win situation, come direbbero gli entrepreneur veri. Dipendenti pubblici che fanno un buon prodotto e ascoltatori-contribuenti che li premiano con elevate percentuali di audience (e possono contare su ottima informazione e sano intrattenimento). Una relazione di questo tipo, ovviamente, è possibile anche con le radio commerciali, ce ne sono di ottime. Ma in questo caso la tesi dell’ex capo di Endemol è che le radio private inglesi sono fuori mercato non perché fanno cattivi programmi, ma perché il cattivo operatore pubblico, essendo troppo bravo, attira gli ascoltatori e drena appeal pubblicitario. E allora? Privatizziamo tutto, perbacco! Così avremo tanti network nazionali commerciali che potrebbero anche mettersi tutti d’accordo per fare gli stessi programmi mediocri e i pubblicitari acquisteranno a scatola chiusa, perché la mediocrità entra in tutte le case con gli spot al traino.