I professionisti possono inviare la parcella all’indirizzo di lavoro del cliente anche senza il consenso di quest’ultimo quando non vi è altro modo di contattarlo.
Lo ha deciso il Garante (relatore Giuseppe Chiaravalloti), che ha giudicato infondato il ricorso presentato da un dipendente comunale che, raggiunto presso il proprio domicilio lavorativo da missive contenenti la parcella del proprio avvocato, si era rivolto all’Autorità. Secondo il dipendente comunale, in mancanza di una preventiva autorizzazione all’invio delle comunicazioni presso il luogo di lavoro, le stesse avrebbero dovuto essere spedite al proprio indirizzo di residenza, anche perché le buste contenenti le richieste economiche dell’avvocato erano prive di indicazioni riguardanti la riservatezza del contenuto e la personalità della comunicazione. Ciò avrebbe costituito un’operazione di recupero crediti invasiva e lesiva della dignità. L’avvocato si era difeso affermando di aver avuto conoscenza del luogo di lavoro del proprio cliente attraverso notizie di stampa (dalle quali risultava la collaborazione con il sindaco della città), e di aver utilizzato l’indirizzo così appreso per avere la certezza della ricezione di una legittima richiesta di pagamento relativa ad una prestazione professionale, dato che precedentemente il cliente non aveva ritirato la stessa richiesta presso il proprio indirizzo di residenza, nonostante l’avviso di giacenza. Le buste, inoltre, erano indirizzate direttamente all’attenzione del cliente, contenute in plichi chiusi e privi di indicazioni di dati eccedenti rispetto a quelli necessari al recapito della comunicazione.
Il Garante, nel dichiarare infondato il ricorso, ha chiarito come, ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali, sia lecito il trattamento di dati relativi all’interessato, anche senza il consenso di questi, quando tale trattamento è necessario al professionista per far valere un proprio diritto nei confronti del cliente.