Il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento dello scorso mese di dicembre, ha accolto parzialmente il ricorso presentato da un ex dipendente, volto ad ottenere la cancellazione dei propri dati personali da un notebook consegnato all’azienda dopo il suo licenziamento.
Nel decidere, il Garante ha cercato di contemperare la tutela della privacy del lavoratore con la facoltà dell’azienda di conservare tutti i dati, personali e non, contenuti nel computer portatile aziendale allo scopo di far valere e difendere in giudizio i propri diritti. Il caso, sottoposto all’esame del Garante nel luglio 2010, è stato mosso, come detto, dalla richiesta dell’ex dipendente di ottenere la cancellazione – e dunque il divieto di qualsiasi trattamento – dei propri dati personali conservati in alcune directory contenute nell’hard disk del notebook dallo stesso utilizzato durante il rapporto lavorativo. Alla base della richiesta formulata dal lavoratore vi era la circostanza che i dati in questione non attenevano all’attività lavorativa svolta, ma afferivano esclusivamente alla sua vita privata (si trattava di foto di parenti, amici, della fidanzata, e-mail personali inviate e ricevute mediante un client di posta elettronica distinto da quello assegnatogli dalla società chiamata in giudizio, e di altra documentazione personale). A tale richiesta si è invece opposta la società resistente, affermando la volontà di conservare tutti i dati contenuti nel computer portatile, costituendo gli stessi “elementi probatori posti a fondamento delle circostanze che hanno prodotto il licenziamento” e, dunque, dati necessari per far valere eventuali responsabilità del lavoratore e dei suoi colleghi in termini di concorrenza sleale. Secondo la società, “la cancellazione dei dati così come genericamente richiesta” avrebbe determinato “una inevitabile compressione delle garanzie di difesa dell’azienda” che, sul punto, aveva già avviato denuncia-querela. Interesse della società era quello di lasciare l’hard disk del notebook, senza alcuna alterazione, a disposizione dell’autorità giudiziaria, per le eventuali verifiche nell’ambito di procedimenti giudiziari instaurati e instaurandi dalla stessa società. Il Garante, pur riconoscendo il diritto del datore di lavoro di controllare il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, ha rilevato che l’esercizio di tale facoltà deve comunque rispettare i principi di correttezza, di pertinenza e non eccedenza di cui all’art. 11, comma 1, del Codice per la Protezione dei dati personali. Ciò, considerato anche che “tali controlli, indipendentemente dalla loro liceità, possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti o idonee a rivelare convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, lo stato di salute o la vita sessuale”. Per tale motivo, il Garante, pur non accogliendo la richiesta del ricorrente di cancellazione delle cartelle personali contenenti i dati relativi alla sua vita privata, ha deciso, a sua tutela, di vietare all’ex datore di lavoro l’accesso ai predetti dati personali. L’accesso, infatti, avrebbe determinato un trattamento di dati personali estranei all’attività lavorativa, in assenza dei presupposti di liceità del trattamento previsti dalla legge ed in violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza delle informazioni personali. Allo stesso tempo, però, a tutela dell’azienda, il Garante le ha riconosciuto il diritto di conservare intatto l’hard disk, per consentire all’autorità giudiziaria di accedervi, qualora ritenuto necessario. (D.A. per NL)