dalla newsletter di Franco Abruzzo.it
Secondo la Corte di Appello di Milano nei confronti dei giornalisti che violano la privacy ”non si applica la tutela penale prevista per il trattamento illecito dei dati, ma, unicamente, una tutela in sede disciplinare, innanzi al Consiglio dell’Ordine”. La Suprema Corte, invece, osserva che in tema di salute, anche per effetto di direttive comunitarie a tutela della ”dignità umana”, bisogna interpretare le norme in maniera ”rigida” e ricordarsi che anche il Codice deontologico della stampa è una legge.
Roma. Sulla salute di tutte le persone, compresi i personaggi televisivi e i loro familiari – a maggior ragione se minorenni – non è ammessa alcuna violazione delle norme sulla privacy e se i giornalisti non chiedono il consenso del diretto interessato, o dei genitori in caso di minorenne, incorrono nella condanna al carcere in base a quanto previsto dalla legge 675/ 1996 (oggi dlgs 196/2003) sul ‘Trattamento illecito dei dati personali’.
Lo sottolinea la Cassazione nella prima sentenza – emessa su ricorso di un noto presentatore televisivo contro l’assoluzione in appello del direttore e di un giornalista di un settimanale che avevano riferito di una patologia del figlioletto – in materia di responsabilità penale del giornalista connessa al trattamento dei dati sensibili. In particolare la Suprema Corte – affermando che esiste un preciso divieto a rivelare dati sulla salute – sottolinea che non esistono “deroghe”, dalla responsabilità penale, in favore dei giornalisti per quanto riguarda la diffusione delle notizie sulle condizioni di salute delle persone.
Esiste solo un documento – ricordano gli ‘ermellini’ – sottoscritto dal Garante della privacy e dai giornalisti che suggerisce l’uso di “particolari cautele” quando, ad esempio, si rivelino le condizioni di salute di un politico “ove ciò sia necessario per informare la collettività sulla possibilità del politico di continuare a svolgere il proprio incarico”.
Nell’accogliere il ricoro del presentatore contro la sentenza assolutoria – emessa nel 2007 dalla Corte di Appello di Milano -, la Cassazione avverte che non deve essere divulgato alcun dato – inerente alla vicenda – che possa portare all’identificazione del minore la cui identità deve essere tutelata dalla riservatezza più totale. I due giornalisti erano stati condannati, in primo grado, rispettivamente a sei mesi di reclusione e un anno di libertà controllata (pena che sostituiva la condanna a sei mesi) per aver violato la legge sulla privacy avendo pubblicato notizie sulla salute del minore senza nemmeno il consenso dei genitori.
In appello i giudici avevano assolto i giornalisti con la formula ”perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Secondo la Corte di Appello, nei confronti dei giornalisti che violano la privacy ”non si applica la tutela penale prevista per il trattamento illecito dei dati, ma, unicamente, una tutela in sede disciplinare, innanzi al Consiglio dell’Ordine”.
Questo punto di vista non è stato condiviso dalla Cassazione, con la sentenza 16145 depositata oggi. ”Ritenere che il giornalista nel caso di lesione dell’altrui riservatezza non sia penalmente sanzionabile per scelta legislativa – ha sostenuto nel ricorso il legale del presentatore – è conclusione che appare confliggere con la logica dell’ordinamento penale”: e gli ‘ermellini’ hanno giudicato ”fondato” questo motivo di reclamo (presentato da Paolo Bonolis e dalla moglie ai soli effetti civili per ottenere il risarcimento dei danni). In proposito la Suprema Corte osserva che in tema di salute, anche per effetto di direttive comunitarie a tutela della ”dignità umana”, bisogna interpretare le norme in maniera ”rigida” e ricordarsi che anche il codice deontologico dei giornalisti è una legge.
Pertanto non si può condividere – aggiunge la Cassazione -”l’approdo ermeneutico della Corte di Appello di Milano che di fatto ha sottratto l’intera categoria dei giornalisti ad una norme incriminatrice di portata generale”. Conclusione non corretta nemmeno sotto il profilo costituzionale dal momento che la Consulta – ricorda la Suprema Corte – ha stabilito che le ”norme penali di favore (come quelle sul diritto di cronaca, ndr) non sono quelle che delimitano l’area di intervento di una norma incriminatrice, bensì quelle che sottraggono una certa classe di soggetti o di condotte all’ambito di applicazione di altra norma maggiormente punitiva”.
Per la Cassazione il giornalista – quando divulga dati sensibili – potrà ”andare esente dal consenso dell’interessato solo se il trattamento oltre che essere effettuato per il perseguimento di finalità giornalistiche, rispetti i limiti del diritto di cronaca e quello della essenzialità dell’informazione”. Ma fermo restando che – in tema di salute – ”i dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi”. (ANSA- 17 aprile 2008)