da Franco Abruzzo.it
Roma, 29 aprile 2008. Il servizio “l’Harem di Berlusconi”, pubblicato dal settimanale “Oggi”, edito dal gruppo Rcs Corriere della Sera, nell’aprile scorso, ha leso il diritto alla privacy del prossimo presidente del Consiglio. Lo ha deciso oggi la corte di Cassazione, dando torto al gruppo editoriale, che sosteneva la legittimità della pubblicazione. Le foto, alle quali era stata dedicata la copertina, ritraevano Berlusconi in compagnia di 5 giovani donne nel giardino di Villa Certosa, la sua residenza in Sardegna. (www.agendacomunicazione.it)
LE FOTOGRAFIE ESEGUITE IN VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA POSSONO ESSERE SOTTOPOSTE A SEQUESTRO PENALE come corpo di reato (Cassazione Sezione Quinta Penale n. 17408 del 29 aprile 2008, Pres. Nardi, Rel. Carrozza).
Con provvedimento del 5 novembre 2007, il Gip presso il Tribunale di Milano, nell’ambito del procedimento concernente i reati di cui all’art. 615 bis c.p. e all’art. 170 D.Lvo n. 196/2003, accertati in Milano dal 19 luglio al 2 agosto 2007, ha ordinato il sequestro preventivo di tutte le fotografie e dei relativi negativi, ritraenti l’On. Berlusconi in compagnia di talune ospiti nel parco di una propria dimora, denominata “Villa Certosa”, in Sardegna, rinvenibili presso la sede del quotidiano “Il Corriere della Sera”.
Il giudice ha rilevato che sul settimanale “Oggi”, il 17 aprile 2007, era comparso un servizio fotografico intitolato “Le bagattelle di Berlusconi”, contenente 15 fotografie raffiguranti lo stesso con talune ospiti nel parco della suddetta villa; che l’interessato aveva presentato denuncia querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania, in ordine al reato di cui all’art. 615 c.p.; che, con provvedimento del 21 aprile 2007, l’Autorità garante della protezione dei dati personali aveva prescritto nei confronti della R.C.S. Periodici S.p.A., editore del settimanale, e della Azphotos s.a.s., il blocco dell’ulteriore trattamento, con conseguente esclusione della diffusione di ulteriori immagini relative al servizio fotografico in questione, blocco confermato l’8 maggio; che, nonostante tale provvedimento, le immagini erano state nuovamente pubblicate sul quotidiano “Il Corriere della Sera”. Il Gip ha motivato la sua decisione ossservando che la parte offesa era stata fotografata mentre si trovava in un luogo di privata dimora e che la pubblicazione delle fotografie era stata compiuta dopo che era stato adottato il provvedimento di blocco da parte dell’Autorità garante, ragioni per cui dovevano ritenersi sussistenti i gravi indizi in ordine sia al reato di cui all’art. 615 bis comma 2 c.p. che a quello previsto dall’art. 170 D.Lgs. n. 196/2003; ha aggiunto che la reiterata pubblicazione sul predetto quotidiano delle foto in questione faceva ritenere concreto il rischio di commissione di ulteriori analoghi reati con grave danno per la privacy della parte offesa.
Proposta richiesta di riesame, da parte della R.C.S. Quotidiani S.p.A., editore del quotidiano, il Tribunale di Milano, assumendo che le fotografie altro non erano che il corpo dei reati sopra indicati, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo impugnato. La società editrice ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione del Tribunale per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Quinta Penale n. 17408 del 29 aprile 2008, Pres. Nardi, Rel. Carrozza), ha rigettato il ricorso. L’art. 615 bis cod. pen. – ha osservato la Corte – prevede, come illecito, l’attività di chi mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva e sonora si procura notizie o immagini attinenti la vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614, cioè nell’abitazione altrui o in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa; tale norma, pertanto, punisce l’intrusione nel domicilio o appartenenze, contro la volontà di chi ha lo jus excludendi, in conseguenza dei nuovi mezzi che la tecnica ha approntato. La normativa, tra l’altro – ha affermato la Corte – trova il fondamento costituzionale nell’art. 14 Cost., che stabilisce che il domicilio è inviolabile; la tutela del domicilio e della vita privata trova ancoraggio anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, e precisamente nell’art. 8 che recita “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”. Di conseguenza – ha osservato la Corte – sussiste il fumus del reato ipotizzato (art. 615 bis c.p.) dato che le fotografie eseguite riguardano la vita privata che si svolgeva all’interno di un parco, costituente appartenenza della propria dimora, interdetto ad estranei. Anche l’art. 3 del codice deontologico allegato al D.Lgs. 196/2003, sulla protezione dei dati nell’esercizio dell’attività giornalistica – ha aggiunto la Corte – dispone che “la tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora, si estende ai luoghi di cura, di detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell’uso corretto di tecniche invasive”.
Quindi, anche ques’ultima disposizione, laddove parla di tutela del domicilio e di corretto uso delle tecniche invasive deve ritenersi che proibisca quelle tecniche che violino il domicilio e i luoghi equiparati nonché la vita privata che in essi si svolge. Il decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 – ha ricordato la Core – appresta un’ulteriore tutela alla vita privata in quanto attribuisce all’Autorità Garante della protezione dei dati personali il potere di fare cessare il comportamento illegittimo (art. 150, 2° comma), disponendo il blocco del trattamento delle immagini. Nelle specie il Garante aveva emesso un tale provvedimento; questo, ai sensi dell’art. 152 D.Lgs. citato deve ritenersi provvisoriamente esecutivo, anche in pendenza di ricorso. Quindi, a prescindere da chi lo abbia commesso, sussiste anche il fumus del reato ipotizzato di cui all’170 D.Lgs. 196/2003, che punisce penalmente l’inosservanza del provvedimento del Garante, in quanto questi aveva prescritto il blocco dell’ulteriore trattamento, con conseguente esclusione della diffusione di ulteriori immagini relative al servizio fotografico in questione che andava rispettato.
La Corte ha ritenuto infondata la tesi della società editrice secondo cui le fotografie non potrebbero essere sequestrate perché sarebbero “stampati”, in quanto prodotti scannerizzati dal periodico “OGGI”, dato che l’art. 1 legge 8 febbraio 1948, n. 47 stabilisce che sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione. L’art. 1 del R.D. L.gs. n. 561/1946, dispone: “non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato, contemplati nell’editto sulla Stampa 26 marzo 1848 n. 695, se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria”. L’art. 1 di questo editto recita che “la libera manifestazione del pensiero per mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio meccanico atto a riprodurre segni figurativi è libera: quindi la pubblicazione di stampati, incisioni, litografie, oggetti di plastica e simili è permessa, con che si osservino le norme seguenti”.
Tuttavia, ha osservato la Corte, non possono farsi rientrare tra gli stampati e le copie di quotidiani o di giornali periodici, le fotografie ritraenti atteggiamenti della vita privata ottenute con una condotta costituente reato, mediante intrusione in luoghi di privata dimora con mezzi tecnici particolari, perché esse non attengono alla manifestazione del pensiero, non trasmettono idee; e quelle per le quali è stato disposto il sequestro sono fotografie, ritraenti aspetti di vita privata che si svolgeva nelle appartenenze del proprio domicilio, eseguite mediante intrusione in questo con mezzi tecnici particolari, contro la volontà di chi aveva lo jus excludendi. Anche la Corte Europea – ha ricordato la Cassazione – ha ritenuto che la disposizione convenzionale relativa al rispetto della vita privata copra anche le immagini; anzi, da questo punto di vista la tutela deve essere maggiore perché non si tratta di veicolare al pubblico “idee”, ma immagini che contengono “informazioni molto personali”.
Ugualmente deve affermarsi nel caso di specie – ha concluso la Corte – tanto più che le fotografie, non solo rappresentano aspetti di vita all’interno di appartenenze di dimora privata, ma sono anche il risultato di intrusione nel domicilio altrui, in modo da costituire l’ipotizzato reato di cui all’art. 615 bis c.p. e in modo da violare anche il codice deontologico nell’attività giornalistica, che prescrive l’uso corretto di tecniche invasive; pertanto, non potendo rientrare le fotografie in questione nel concetto di stampa o di stampato, per esse non vige il divieto di sequestro. (www.legge-e-giustizia.it)