Privacy: all’orizzonte possibile causa per risarcimento miliardario. A farne le spese potrebbe essere Facebook.

Alcuni lettori ricorderanno quando nel 2007, praticamente agli albori del social networking, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, chiese scusa agli utenti di “faccia libro” ammettendo di aver loro violato la privacy sfruttando informazioni personali, con il solo intento di personalizzare l’offerta pubblicitaria di Beacon a seconda degli usi e costumi di ogni utente. Nel chiedere scusa, Mark Zuckerberg ammise palesemente di aver sbagliato su tutta la linea affermando che con Beacon era stato “semplicemente fatto un pessimo lavoro”, e il fulcro del problema era che non si riusciva a trovare il giusto equilibro tra le informazioni diffuse e il diritto alla privacy degli utenti. Alla luce di quanto è successo – il periodo era all’incirca il febbraio 2007 – non stupisce quanto si è appreso in questo giorni sempre a proposito di violazione della privacy e di accesso al re dei social network: cinque cittadini americani, residenti in California, hanno intentato una causa a Facebook per illegittima e non autorizzata raccolta e ricerca di dati personali degli utenti. A quanto pare, quindi, il lupo perderebbe il pelo ma non il vizio e le scuse a suo tempo formulate da Zuckerberg, nonché l’ammissione di responsabilità che ne conseguì, potrebbero recare, oggi, un gusto amaro. Il problema della privacy e della circolazione di dati personali sui social network non è certamente un argomento dell’ultima ora: se ne parla in rete da tempo, come da tempo sono in circolazione piccoli trucchi per evitare che, una volta cancellati come utenti, i dati di ciascuno continuino a vagare nel web come polvere virtuale. Ad occuparsi della questione fu per primo il New York Times che raccolse le lamentele di una serie di utenti che avevano constatato, a proprie spese, quanto fosse facile entrare in Facebook e quanto invece fosse, praticamente impossibile, liberarsene. Le implicazioni legate alla tutela della privacy nell’ambito dei social network sono, tra l’altro, di diversa natura. In primo luogo, il diritto all’oblio non è garantito, perché non sempre viene consentito agli interessati un rapido e facile diritto di accesso e rettifica dei propri dati. In secondo luogo, Facebook conserva nei server i dati personali dell’utente anche dopo averne chiesto la cancellazione. Come se tutto questo non bastasse, la notizia della causa intentata dai cinque cittadini californiani getta nuova luce su ipotetiche violazioni commesse dal social network più famoso del momento: ora sembra che, addirittura, vengano compiute ricerche mirate sulla abitudini degli utenti. Dal canto nostro, continueremo a tenervi aggiornai sugli sviluppi di questa vicenda. Per il momento, ci sembra opportuno fornire alcune utili informazioni. Su questo sito, sono, infatti, contenute alcune facili e rapidi regole che permettono di limitare i danni derivanti dall’indebita circolazione dei propri dati. (M. P. per NL)

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