Il Tar del Lazio (sent. n. 03747/2017) ha confermato la sanzione di 200.000 euro comminata da AgCom a Sky Italia con un provvedimento risalente al 2008.
L’Autorità aveva riscontrato nell’attività della società, consistente nella vendita telefonica di pacchetti servizi, alcuni comportamenti riconducibili a “pratiche commerciali aggressive” ai sensi degli artt. 24, 25 e 26 del codice del Consumo e a “pratiche commerciali ingannevoli” ex artt. 21-22 del medesimo decreto legislativo. In particolare, in seguito alle segnalazioni dei consumatori, l’AgCom aveva accertato che attraverso il teleselling – telefonate registrate effettuate sia in outsourcing che tramite call center interni – Sky aveva venduto alcuni suoi prodotti, fuorviando la formazione della volontà degli acquirenti che non erano stati posti nelle condizioni di comprendere né il contenuto e il costo esatto dell’offerta, né che l’accordo si sarebbe perfezionato già con il consenso verbale prestato al telefono. I clienti erano infatti convinti che l’acquisto sarebbe stato effettivo solo dopo la firma del contratto cartaceo consegnato via posta in un momento successivo al contatto telefonico; tanto più che, limitatamente alle offerte proposte a soggetti già clienti Sky, per considerare valido l’accordo la società aveva ritenuto sufficiente il consenso prestato non già dal titolare del contratto principale, ma del semplice convivente – sedicente – delegato. Queste le due condotte “aggressive” per cui il Garante delle Comunicazioni ha ravvisato la violazione degli artt. 24-26 del Codice del consumo. Ad integrare invece la fattispecie delle “pratiche commerciali ingannevoli” sanzionata dagli artt. 21 e 22 del Codice, secondo AgCom, è stato l’addebito da parte di Sky Italia di costi aggiuntivi relativamente ai quali i consumatori lamentavano di non essere stati informati dall’operatore e che risultavano del tutto ingiustificati, talvolta anche eccessivamente onerosi. Nonostante Sky abbia ritenuto opportuno e provveduto già nell’anno successivo a migliorare i controlli sul di teleselling – probabilmente segno di un sentore di irregolarità nello svolgimento dell’attività – la società ha proposto ricorso al Tar adducendo tra le motivazioni la «violazione e falsa applicazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo [poiché] Sky ha garantito una corretta informazione e una modalità idonea di determinazione cosciente ed inequivoca del consenso, avendo come riferimento il parametro del “consumatore medio”, ossia mediamente informato e avveduto; [nonché la] violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del Codice del consumo [considerato che] dal contatto telefonico intercorso con i consumatori non può desumersi la sussistenza di un “indebito condizionamento” e, quindi, l’integrazione di una “pratica commerciale aggressiva”» La Corte laziale ha smentito in toto la linea di Sky Italia: riguardo la seconda delle motivazioni qui riportate, il Tar ha chiarito come l’“indebito condizionamento” non sia elemento esclusivo per qualificare un’attività come pratica commerciale aggressiva, bensì ciò avviene anche in tutti i casi elencati all’art. 26 c1 Codice consumo. Nel caso specifico, il comportamento di Sky si può sussumere nella fattispecie di cui alla lettera f) del citato articolo: è in ogni caso considerata pratica commerciale aggressiva l’esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto. Per dirla con il collegio: «a tale ipotesi [quella dell’art 26 c1 lett f) codice Consumo] il provvedimento [AgCom] ha logicamente e congruamente ricondotto la pratica commerciale posta in essere dal professionista, qualificandola alla stregua di una pratica commerciale scorretta di per sé aggressiva in ragione della circostanza che la procedura di vendita a distanza di pacchetti aggiuntivi, non consentendo al consumatore di essere chiaramente ed esaustivamente informato in ordine all’immediato acquisto del pacchetto ed alla sua attivazione, è stata idonea, sino a maggio 2008, a dare luogo a fenomeni di attivazioni di servizi non consapevolmente richiesti dagli utenti». Per quanto riguarda il parametro del “consumatore medio”, Sky riteneva che l’applicazione effettuata da AgCom non fosse corretta, perché aveva ignorato il livello più alto di informazione riguardo i servizi Sky dei consumatori già clienti. Anche in questo caso il Tar ha rigettato la doglianza della società ritenendo che la «peculiare modalità di conclusione dei contratti a mezzo telefono [pone il consumatore in una] particolare posizione di debolezza rispetto alla controparte, a causa della distanza fisica simultanea delle parti contraenti, che rende particolarmente pregnante l’onere di fornire con chiarezza ed esaustività le informazioni in ordine all’immediato acquisto del pacchetto e al contenuto dei servizi offerti». In sostanza, nel caso specifico delle offerte telefoniche non è possibile ipotizzare nel consumatore conoscenze superiori al parametro medio per il solo sussistere della distanza fisica tra interlocutori, che si presuppone a svantaggio del potenziale acquirente. Nelle motivazioni del ricorso, Sky italia aveva anche addotto l’irrilevanza della propria condotta visto l’esiguo numero di segnalazioni pervenuto all’AgCom: come a dire, se nessuno si è lamentato, non c’è stata violazione di alcuna norma. Di diverso avviso il consolidato filone giurisprudenziale cui ha fatto riferimento il Tar per rigettare anche questo motivo di ricorso: «ai sensi degli artt. 24 e 26 del Codice del Consumo, ai fini della configurabilità dell’illecito del professionista, non occorre individuare un concreto pregiudizio delle ragioni dei consumatori, in quanto è la stessa potenzialità lesiva, al fine di evitare anche solo in astratto condizionamenti e/o orientamenti decettivi, che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito di “mero pericolo”, in quanto intrinsecamente idonea a configurare le conseguenze che il codice del consumo ha invece inteso scongiurare». Il dispositivo ha quindi respinto il ricorso di Sky Italia, condannandola al pagamento delle spese processuali e della sanzione amministrativa pecuniaria così come comminata dall’Autorità Garante delle Comunicazioni. (V.D. per NL)