Nelle stesse ore Google la spunta in tribunale sulle immagini a luci rosse
In epoca di Web 2.0, rete dei contenuti e catalogazione semantica dei dati, i siti per soli adulti dimostrano di non aver perso appeal per utenti e investitori finanziari. Che anzi rilanciano: Porn.com, nome di dominio perfetto da usare come specchietto per le allodole nel piazzare banner, filmati e attrezzatura a tema, è stato acquistato per 9,5 milioni di dollari.
Moniker.com, operatore specializzato proprietario del dominio, lo ha piazzato alla società di investimenti MXN Ltd. affiliata con Download Pass, importante player del lucroso settore dei contenuti a luci rosse. I dettagli della transazione non sono stati svelati, ma i protagonisti parlano della cifra in contanti più alta mai pagata per l’acquisto di un nome di dominio, poco sotto gli altrettanto clamorosi 12 milioni di dollari pagati per “Sex.com”, in quest’ultimo caso corrisposti con un misto di contante e stock option nel gennaio del 2005.
“La vendita di Porn.com rinforza ulteriormente il crescente trend del business nell’attribuire un valore altamente strategico a domini generici specifici del proprio settore di riferimento”, ha dichiarato un sicuramente entusiasta Monte Cahn, co-fondatore e CEO di Moniker.com. Grazie al numero significativo di utenti unici che visitano il sito ogni giorno, la riconoscibilità e la facilità con cui il portale attira “nuovi click”, Porn.com sarà un asset di sicuro valore per MXN Ltd., sentenzia l’oramai milionario Cahn.
Lo score stellare fatto segnare dal sito porn per eccellenza segue altre operazioni di vendita gestite da Moniker.com, concernenti nomi di dominio di uso comune tra cui “Cameras.com”, venduto per 1,5 milioni di dollari nel 2006, “Scores.com” fruttato 1,2 milioni, “Wallstreet.com” per 1 milione e “Autos.com” per oltre 2 milioni. Il ritorno di cassa, nel caso di Porn.com, è ad ogni modo indubbio: il sito è costato, nel 1997, 47mila dollari, una cifra di magnitudine decisamente inferiore a quanto incassato dal broker di domini.
Il porno commerciale ad ogni modo tira ancora, nonostante la rete sia sempre più “social”, condivisa e focalizzata sulle necessità di informazione ed entertainment specifici degli utenti. E nonostante il P2P e i tanti siti che offrono materiale accessibile gratuitamente. A titolo di confronto, parlando di nomi di dominio, “Business.com” è stato venduto per due milioni di dollari in meno di Porn.com, nel 1999.
Particolarmente in tema è poi la “bella notizia” per Google del capovolgimento della famigerata sentenza sulle anteprime di Perfect 10, che aveva in prima istanza condannato BigG a pagare i danni per aver fornito libero accesso al materiale protetto da copyright appartenente alla omonima pubblicazione specializzata. Con il ricorso in appello, il gigante dei motori di ricerca l’ha infine spuntata, con i giudici che hanno stabilito che la generazione automatica delle anteprime va considerata come “fair use”, e non è pertanto soggetta alle stringenti regolamentazioni della legge sul copyright.
Alfonso Maruccia