"La cosa più importante è come impacchettiamo la nostra immagine: ed è qui che intervengo io. Sono pagato per parlare. Non sono laureato né in medicina, né in legge. Sono diplomato in colpire sotto la cintura e incassare insulti. Avete presente il tipo che può farsi qualsiasi ragazza? Io sono quello… fatto di crack".
A pronunciare queste parole è il lobbista Nick Naylor, protagonista di Thank you for smoking, film cult per gli aspiranti lobbisti. Ma ironie a parte il lobbying viene presentato quasi sempre come attività che si svolge nelle anticamere del potere e i lobbisti come potenti manipolatori pronti a muovere pedine per tutelare gli interessi di pochi in contrasto con l’interesse generale. Sono esseri senza scrupoli, al soldo dei grandi gruppi industriali per sfruttare la permeabilità del sistema politico e piegare con mezzi, soprattutto illeciti, la libera volontà di chi dovrebbe decidere del bene pubblico. Una visione che rimane inalterata negli anni, anzi si consolida: durante la campagna elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca, il presidente Obama si è più volte espresso contro lo strapotere dei lobbisti accusati di minare, con la loro azione, la credibilità dell’intero sistema politico americano. Se così è nel Paese mito dei lobbisti, figuriamoci in Italia! Nel nostro Paese, da sempre, ma con un picco negli anni Novanta, il termine lobby è utilizzato per spiegare le azioni di corruttela da parte di gruppi di interessi che si muovono nell’ombra. Cambiano i singoli (inquisiti), gli scandali, ma il termine resta lo stesso. È comunque un’arretratezza culturale diffusa, che si riscontra anche tra gli stessi esponenti del processo decisionale. Ma se andiamo in profondità scopriamo che il lobbying è una attività connaturata in tutti i regimi democratici e consiste nel continuo e costante dialogo tra chi detiene il potere decisionale e parti della società che chiedono il riconoscimento e la tutela dei propri interessi. Non solo, dunque, è un’attività perfettamente lecita, ma strategica per il raggiungimento dei propri obiettivi, su cui investire risorse e capacità umane e finanziarie. All’Italia manca un sistema competitivo di gruppi di interesse. La salvezza di questo Paese non è fare guerra alle lobby, ma sviluppare un insieme di regole e di norme che permetta di identificare e promuovere i gruppi di interesse. Solo attraverso la loro moltiplicazione e organizzazione e solo con un sistema politico che, dopo l’esplicito riconoscimento, ne permetta lo sviluppo e la competizione, si può sperare di avere un Paese moderno. Se ben gestito, questo cambiamento può determinare una situazione sociale, politica ed economica migliore. Fabio Bistoncini, autore di "Vent’anni da sporco lobbista" (edito da Guerini e Associati – www.guerini.it – euro 18,50) , giurista e lobbista da vent’anni, traccia in uno scorrevole volume di meno di 200 pagine un vero e proprio identikit professionale della figura professionale attraverso l’analisi degli avvenimenti storici e politici e con alcuni racconti tratti dalla sua esperienza professionale. Meritevole di acquisto. (E.G. per NL)