S-Town è un popolare podcast che sta facendo molto parlare di sé, sia per i record di download e ascolti che registra (40 milioni da maggio 2017, di cui 10 milioni nei primi 4 giorni), sia per le polemiche che ha sollevato nell’opinione pubblica e tra gli addetti del settore dell’informazione ed ora anche per una querelle legale che coinvolge i suoi produttori, Brian Reed e Julie Snyder.
I podcast, così come i brani musicali, video e film, devono sottostare al diritto d’autore e, non raramente, una disciplina non precisa in materia lascia spazio a zone grigie o addirittura vertenze legali per la giusta attribuzione dei diritti.
Negli Stati Uniti, poi, il recente fenomeno della trasposizione in serie televisive dei podcast di maggior successo, sta ponendo una diversa questione: ossia, se l’autorizzazione e il possesso dei diritti per la produzione e pubblicazione del podcast sia condizione necessaria e sufficiente per la trasposizione in serie tv o se la produzione debba acquisire diritti specifici per ogni tipo di supporto (audio/video).
La vertenza legale inerente a S-Town, però, rappresenta un unicum: recentemente, infatti, la produzione del podcast è stata citata in giudizio per sfruttamento e violazione della privacy del defunto protagonista del podcast, John B. McLemore.
L’ideazione di S-Town è quasi serendipica: Reed, produttore di diversi podcast di giornalismo investigativo (come Serial e This American Life), si era recato a Woodstock, Alabama, dopo una lunga insistenza via e-mail da parte di John McLemore, il quale gli chiedeva di investigare su un omicidio irrisolto nella sua città. Una volta lì, però, Reed ha realizzato che non c’era stato alcun omicidio, ma si è interessato alla figura strana ed eclettica di McLemore ed ha iniziato a registrare interviste a lui e agli altri abitanti della piccola cittadina, che proprio il rinvenuto protagonista definisce “Shittown” (da cui il titolo del podcast), confezionando un prodotto di c.d. storytelling sulla vita di un cittadino americano.
Nel periodo delle registrazioni, però, McLemore si toglie la vita bevendo cianuro di potassio.
Alla sua pubblicazione il podcast si è rivelato di successo dirompente, ma certamente divisivo: mentre parte della critica lo ha lodato per aver evoluto ulteriormente il concetto di narrazione e di giornalismo investigativo, altri lo hanno aspramente criticato, bollandolo come “voyeuristico” e in violazione dei principi minimi di etica giornalistica. Chi ha accolto il podcast con minor entusiasmo, tuttavia, sono stati gli eredi di McLemore, i quali hanno citato in giudizio Reed accusandolo di “exploitation”, cioè di aver sfruttato le sofferenze e l’esperienza di vita di John McLemore per trarne profitto e di averlo fatto senza consenso.
La pubblicazione del podcast è avvenuta infatti postuma e per questo – almeno a detta degli eredi – senza un consenso valido da parte di McLemore. Inoltre, nel sesto episodio della serie, è proprio Reed ad ammettere di stare rendendo pubblici alcuni commenti che McLemore gli aveva fatto in confidenza, mai accordandone la registrazione.
L’accusa rivolta a Reed è quella di aver violato una legge dello stato dell’Alabama, la “right of publicity law”, la quale riconosce tutela dell’immagine e dell’identità agli individui fino a 55 anni dopo la loro morte.
La vicenda legale che origina dalla diffusione di S-Town si presenta con tre punti focali, riassunti nella citazione in giudizio degli eredi contro Reed. Il primo è che si tratta di un podcast totalmente incentrato sulla vita di un privato cittadino che, proprio in quanto tale, non dovrebbe essere oggetto di interesse pubblico; il secondo è che l’opera è stata interamente pubblicata e parzialmente prodotta postuma, e non ha perciò ottenuto il necessario consenso scritto dal protagonista; il terzo è che numerosi contenuti pubblicati – come ammette lo stesso Brian Reed – erano stati rivelati da McLemore in via confidenziale, al di fuori delle registrazioni, perché non c’era intenzione di renderli pubblici.
Da un punto di vista giornalistico, Reed si è difeso dicendo che ha deciso di rendere pubblici anche i commenti “off-the-record” di McLemore in quanto questi sono stati confermati da altre persone intervistate durante le registrazioni del podcast. Per quanto attiene più strettamente il merito della causa legale, invece, la linea difensiva di Reed è più sorprendente: il giornalista ha sostenuto che “poiché McLemore è un ateo, non crede nelle ripercussioni dell’aldilà, quindi secondo la sua convinzione, è morto e sepolto e non può essere ferito da nessuna di queste informazioni”.
È convinta della professionalità del lavoro svolto anche il produttore esecutivo di S-Town, Julie Snyder, la quale ha dichiarato: “Non farò commenti sulle controversie in corso se non per dire che questa causa non ha valore. S-Town è prodotto in linea con i più alti standard giornalistici e intendiamo difenderci da questa azione in modo aggressivo”. (V.D. per NL)