Recentemente avevamo discusso il caso di Jammie Thomas, quella casalinga 30enne e nativa indiana (a nostro parere, capro espiatorio a servizio del mondo discografico) che sarebbe stata costretta dal tribunale locale di Duluth, in Minnesota, a pagare la maximulta di 222 mila dollari per aver scaricato ventiquattro brani coperti da Copyright. E mentre le case discografiche esultavano per la vincita ottenuta (contro una minoranza giuridicamente indifesa si può parlare di vittoria?), la band anglosassone Radiohead pubblicava l’ultimo suo disco, In Rainbows, in versione digitale, scaricabile in modo completamente gratuito da internet. Per una volta quindi la musica si è andata a scontrare con il mondo delle major discografiche, togliendo la possibilità, a chiunque, di guadagnare sul prodotto finito e, in qualche modo, supportando chi ha difeso la Thomas, probabilmente ingiustamente punita per aver condiviso musica, in quella particolare accezione di prodotto venduto ad un costo non per tutti accessibile (e tantomeno ragionevole se paragonato al costo medio di un libro, per esempio). Il dibatto sul peer-to-peer, tecnologia alla base della presunta colpevolezza della casalinga statunitense, riapertosi in modo decisamente violento, non solo a causa del suddetto provvedimento, ma anche in seguito alle diverse posizioni dei paesi occidentali in merito, vedrebbe oggi, secondo alcuni blogger, un’altra partecipante. La cantante Madonna avrebbe infatti chiuso gli accordi con il colosso delle major Warner Bros., per riaprire la propria produzione musicale in compagnia della più modesta Live Nation, nota società promotrice di concerti. Non si tratta certo di un’etichetta di nicchia (difatti comprende già nomi noti come Dave Matthews Band, Jason Mraz e John Mayer), ma l’abbandono di una major da parte della Ciccone avrebbe fatto pensare, ai blogger in questione, ad un mercato sul modello Radiohead, più propenso a certe dinamiche, per esempio quelle incriminate di file-sharing. Il punto è che madonna, in realtà, ha accettato un contratto da 120 milioni di dollari (85 milioni di euro) stipulando un accordo che non riguarderebbe, come successo ancora per Radiohead e altri, l’abbandono di quelle logiche economiche delle major, periodicamente condannate, ma al contrario, come ha pubblicato anche il Wall Street Journal, una diffusione capillare del mercato che permetta di guadagnare non più solo sui dischi venduti, ma anche su tutto il merchandising dedicato. Una mossa questa che suggerisce, oltretutto in modo piuttosto esplicito, di rifarsi sulle perdite derivanti dal selvaggio download gratuito di musica con l’invenzione e la successiva diffusione di altro materiale. Sicuramente la resistenza al fenomeno peer-to-peer sta progressivamente diminuendo, ma questo non permetterà certo alla Thomas di ribaltare la situazione, purtroppo decretata per legge negli Stati Uniti, che la obbligherà a versare ben 9.250 dollari di multa per ognuno di quei famosi brani scaricati “illegalmente”. Una svista per la contro-informazione dei blogger? (Marco Menoncello per NL)