Pedoporno, sulle norme italiane la scomunica degli esperti

Il controverso decreto contro il porno infantile in rete è incompatibile con la natura di Internet. I filtri? Inefficaci, eludibili e destinati a tradursi in una censura priva di senso. Parlano gli esperti di ISOC Italia


da Punto Informatico

Roma – No, il decreto interministeriale contro la pornografia infantile online varato dal Governo a gennaio non va giù agli esperti italiani di Internet. Già stigmatizzata da più parti come una normativa inutilmente censoria, ora la misura è ufficialmente “scomunicata” anche da Società Internet (ISOC Italia) che in una lunga nota spiega nel dettaglio tutte le debolezze e i pericoli insiti nel decreto.
Non è certo la prima volta che ISOC si trova a dover demolire punto per punto una normativa italiana, è già accaduto lo scorso anno nel caso dei filtri contro i siti delle scommesse, ma il fatto di dover ogni volta spiegare le ragioni dell’inconsistenza tecnologica di certi provvedimenti è in sé un emblema della difficile situazione in cui versa la rete italiana alle prese con una classe politica ancora profondamente ignorante delle cose della rete.

Gli esperti di ISOC si dicono convinti che chi commette reati di pedopornografia vada perseguito, tuttavia esprimono “una forte obiezione di fondo all’idea che la pubblicazione di contenuti illegittimi o illegali, di qualsiasi genere, possa essere prevenuta o repressa mediante l’introduzione di sistemi di filtro interni alla rete”. Il motivo è ovvio: l’imposizione di filtri “a monte”, ovvero non “scelti” dall’utente “mal si conciliano con la legislazione di un Paese che si considera libero e democratico”.

Come combattere dunque questo ed altri fenomeni criminali in rete? ISOC consiglia lo “sviluppo di pratiche di cooperazione internazionale più efficaci per la repressione dei crimini online alla sorgente, associate a campagne di educazione degli utenti della rete e allo sviluppo di sistemi di classificazione e blocco dei contenuti, che i cittadini possano adottare, se lo desiderano, su base volontaria”.

Secondo il decreto, come noto, sono i fornitori di servizi a dover realizzare sistemi di filtraggio, una pratica “incompatibile con la natura neutra della rete Internet, per la quale gli operatori di connettività non dovrebbero differenziare il traffico a seconda del tipo o della destinazione del contenuto”.

Non solo: il filtraggio ideato dal Governo è destinato a risultare inefficace, perché effettuarlo come prevede il decreto a livello di nomi a dominio o indirizzi IP può essere bypassato con estrema facilità. “Se il provider introduce un filtro a livello di dominio – spiega ISOC a questo proposito – questo può essere subito aggirato dall’utente mediante l’utilizzo di un proprio server DNS di risoluzione dei nomi a dominio, funzione già estremamente utilizzata per lecitissime finalità dalle aziende, le università, gli enti di medie e grandi dimensioni, e gli utenti più esperti”. Né cambia con il filtraggio degli IP, essendo numerosi i servizi di proxy o navigazione anonima che si trovano spesso all’estero e con le quali l’utente può agevolmente sfuggire. Non solo, aggiunge ISOC, “il responsabile dei contenuti criminosi può facilmente e velocemente cambiare il proprio nome a dominio o il proprio indirizzo IP, rendendo vano il filtro”.

Un modo ci sarebbe, spiega ISOC, se i filtri fossero adottati da qualsiasi gestore di servizi di rete, “includendo quindi non soltanto gli operatori Internet veri e propri, ma qualsiasi azienda, entità o individuo che gestisca un nodo di rete in qualsiasi parte del mondo”. Utopie, dunque, sulle quali chi risiede nella stanza dei bottoni in Italia, ma non solo in Italia, dovrebbe più spesso fermarsi a riflettere.

Naturalmente chi ha un interesse specifico ad aggirare i filtri lo farà, come detto, con facilità. Ma l’utente meno esperto li potrà solo subire, impedendogli anche di accedere a risorse web del tutto legittime, che con ogni probabilità, vista la natura dei filtri previsti dal decreto, saranno escluse dalla navigazione di molti italiani. Il motivo lo spiega ancora una volta ISOC: “Sono pratiche comuni in Internet sia quella di avere pagine e servizi di molti utenti pubblicate sotto lo stesso nome a dominio – in casi come Myspace o Geocities, di milioni di utenti -, sia quella di ospitare decine o centinaia di siti sullo stesso server e quindi presso lo stesso indirizzo IP. In questi casi, l’introduzione nel filtro del nome a dominio o dell’indirizzo IP renderebbe inaccessibili non solo i contenuti e i servizi pedopornografici, ma anche una quantità molto maggiore di contenuti e servizi legittimi e privi di qualsiasi connessione con quelli incriminati”.

Le conseguenze di misure del genere sono ovvie: compressione della libertà di espressione, danni economici a questa o quell’attività Internet ingiustamente “messa al bando”.

Tirando il totale, dunque, l’introduzione dei filtri è destinata ad apportare “scarsi benefici a fronte di gravi danni, rivelandosi da una parte inefficace per colpire gli utenti effettivamente intenti ad attività criminose
e dall’altra danneggiando significativamente le attività legittime di tutti gli altri utenti della rete”.

Ed è da questo punto di vista importante sottolineare, come fa ISOC, che il decreto
non offre alcuna garanzia contro gli abusi o gli errori nell’uso dei filtri da parte delle autorità. Allo stesso modo “non è prevista alcuna cautela contro l’uso deliberatamente dannoso di contenuti pedopornografici a svantaggio di terze parti, ad esempio inserendo questo materiale sui siti terzi a loro insaputa per provocarne l’oscuramento; non è nemmeno considerata l’abitudine, molto diffusa da parte di chi diffonde contenuti illegali, di utilizzare siti di terzi a loro insaputa dopo averne violato la sicurezza, in modo da far ricadere eventualmente su tali terzi le responsabilità”.

A tutto questo va aggiunto che per i provider che non opereranno i filtri prescritti nel modo richiesto, per quanto tecnologicamente privo di qualsiasi efficacia, il decreto prevede sanzioni pesantissime e non calibrate sulle dimensioni dell’azienda che fornisce i servizi di connettività. Il che significa, spiega ISOC, “che un piccolo ISP potrebbe arrivare a fallire pur avendo esposto al rischio di accedere ad immagini pedopornografiche pochi utenti, mentre per un grande ISP che non filtri siti per milioni di utenti la sanzione sarebbe trascurabile”.

ISOC conclude la sua lettera mettendosi a disposizione del Legislatore per modificare e innovare la normativa italiana in tema di Internet. Agli utenti più attenti allo sviluppo della rete e alle promesse dell’era digitale non resta che sperare che qualcuno, nel Palazzo, decida di aprire finalmente le porte al dialogo con chi in rete fa e sa, dopo anni di normative discutibili introdotte senza badare ai danni causati.

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