La legislazione italiana sull’affollamento pubblicitario che prevede limiti orari più bassi per le tv a pagamento rispetto a quelle in chiaro è, in linea di principio, conforme al diritto dell’Unione europea, anche se deve essere rispettato un criterio di "proporzionalità".
Così la Corte di giustizia Ue ha risposto al Tar del Lazio, che si era rivolto al tribunale europeo in merito al ricorso portato avanti da Sky Italia contro il tetto alla pubblicità imposto nel 2005 dal governo Berlusconi e poi assorbito nel 2010 nel decreto Romani. Ricordando che le direttive europee sul tema fissano principi minimi generali ma che i singoli stati sono liberi di adottare misure più dettagliate e più restrittive, la corte del Lussemburgo sottolinea che il principio di fondo deve restare quello di proteggere in modo equilibrato da un lato gli interessi finanziari degli emittenti e dall’altro quello dei telespettori. "Questo equilibrio varia in funzione del fatto che le tv trasmettano i loro programmi a pagamento oppure no" ed è quindi possibile per il legislatore nazionale fissare limiti orari diversi per le tv in chiaro e quelle a pagamento. "La Corte dichiara che la protezione dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale costituisce una ragione preponderante di interesse generale che può giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi, purchè queste restrizioni siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano al di là del necessario", dice la nota della corte di giustizia che rinvia quindi al Tar "di verificare se queste condizioni siano rispettate". Sky, in una nota, sottolinea che "la partita è ancora aperta" e confida che il Tar del Lazio possa comunque accogliere le sue ragioni. "La corte di Giustizia europea, pur avendo affermato che la differenziazione fra tetti applicabili alla pay-tv e alla tv gratuita non sia di per sé illegittima, sottolinea che spetterà al giudice nazionale decidere se questa costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi", spiega il comunicato. "Quindi sarà il Tar del Lazio a stabilire se il tetto più severo imposto alla pay-tv sia effettivamente indirizzato alla protezione dei consumatori e proporzionato rispetto a questo obiettivo". La vicenda risale al 2011, quando Sky venne multata dall’Agcom per aver superato il tetto orario del 14% di pubblicità imposto da una norma che prevedeva invece una soglia del 18% per le emittenti private in chiaro. Oggi, a regime, la legge stabilisce che le pay Tv (quindi anche Mediaset Premium) debbano rispettare un tetto del 12%. Anche la Rai, per via del canone, ha un tetto al 12%. La tv del gruppo Murdoch ha impugnato la delibera dell’Agcom dinanzi al Tar del Lazio, eccependo in particolare l’incompatibilità della normativa italiana con il diritto dell’Unione, che prevede un limite di affollamento orario del 20%. Un rinvio al Tar della questione era prevedibile già dal giudizio espresso dall’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, che il 16 maggio scorso aveva sostenuto che spettasse al giudice nazionale decidere se la norma fosse nata per favorire Mediaset o per proteggere i consumatori. (Reuters)