Patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c.

Sentenza della Corte di Cassazione, sez. Lavoro, n. 11104/2007

La Consulta si è pronunciata in merito al ricorso promosso da un datore di lavoro, il quale era stato condannato, in primo ed in secondo grado, al pagamento, in favore dell’ex dipendente, di un corrispettivo economico dovuto per il cosiddetto patto di non concorrenza. Anzitutto, secondo la normativa codicistica, tale patto è l’accordo stipulato tra datore e prestatore di lavoro, in base al quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, quest’ultimo si impegna a non svolgere attività in proprio o presso terzi, in concorrenza al primo. Nella specie, era accaduto che il datore di lavoro, al momento dello scioglimento del rapporto, non aveva manifestato la propria volontà in merito al vincolo dell’attività del prestatore dimesso nel periodo successivo alla cessazione del rapporto. Pertanto, l’ex lavoratore si era dedicato alla ricerca della nuova occupazione tenendo conto del fatto di non poter esercitare delle nuove prestazioni di lavoro in concorrenza con l’attività del precedente datore, confidando nell’esistenza del vincolo di cui all’art. 2125 c.c. Tale circostanza avrebbe ingenerato un danno economico e patrimoniale nella sfera del medesimo, in quanto, solo in un momento successivo, era venuto a conoscenza della volontà del datore di lavoro di non usufruire del vincolo in parola. Alla luce di quanto sopra esposto, sia in primo sia in secondo grado, i giudici avevano accolto la domanda del lavoratore, dato che egli, al momento in cui era stata palesata la diversa volontà datoriale, aveva già subito quel pregiudizio che sarebbe compensato con il pagamento del corrispettivo oggetto della domanda giudiziale. La Suprema Corte, invece, chiamata a pronunciarsi in merito, pur rigettando le domande della parte ricorrente (datore), ha deciso sulla base dell’interpretazione letterale della clausola contenente il patto di non concorrenza, in forza della quale il datore di lavoro solo “contestualmente al recesso” avrebbe potuto scegliere di non avvalersene, lasciando libero il lavoratore nella ricerca di un nuovo posto di lavoro. Pertanto, la mancanza di un tempestivo riscontro da parte del datore avrebbe determinato la convinzione nel lavoratore dell’esistenza del vincolo, con il conseguente obbligo del versamento del corrispettivo, previsto dall’art. 2125 c.c. a pena di nullità. (D.A. per NL)

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