C’è un’emergenza che riguarda l’industria radiofonica e gli utenti della stessa che purtroppo non sembra evidente alla maggioranza degli stessi editori: in assenza di protocolli condivisi, si sta registrando una progressiva ingerenza delle case automobilistiche nella somministrazione dei contenuti all’utenza sulle quattro ruote.
L’evoluzione tecnologica ed il cambiamento di abitudini degli utenti sta determinando una profonda alterazione dello storico equilibrio (ed anche dell’alleanza non scritta) tra l’industria automobilistica e quella radiofonica. E non parliamo solo di quella dei codici PI, su cui ci siamo soffermati più volte nelle ultime settimane.
Allora, prima di addentrarci nella complessa questione, è opportuno un recap.
Protocolli UIT…
Una volta, sulle automobili, il cuore dell’entertainment era l’autoradio, con contenuti veicolati via etere dai broadcaster sulle bande AM e FM e ricevute con apparati regolati secondo i protocolli CCIR.
CCIR
CCIR, lo ricordiamo per i meno tecnici, è l’acronimo di Comitato consultivo internazionale per le radiocomunicazioni, organismo creato nel 1927 come espressione tecnica dell’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT).
UIT
In altri termini, l’organizzazione internazionale che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni e nell’uso delle onde radio. Fondata il 17 maggio 1865 a Parigi da 20 membri con il nome di International Telegraph Union, l’ente cambiò il nome in quello attuale nel 1932. Dal 1947, l’ITU è una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite con sede a Ginevra.
… e l’on demand (quasi) analogico
Premesso ciò, allorquando le onde medie e la modulazione di frequenza erano l’unico metodo di ricezione di quella che oggi chiamiamo radio lineare, o live radio, l’on demand era limitato all’ascolto di cassette (prima), cd (poi), chiavette USB (infine).
Dieta mediatica sulle quattro ruote
Oggi la dieta mediatica sulle quattro ruote è invece decisamente più vasta: da una parte, i contenuti ricevuti via etere in senso classico, estesi dalla AM (su alcune autoradio non più presente) e FM al DAB+ (HD Radio/Iboc e sat, con SiriusXM, negli Stati Uniti); dall’altra, il variegato mondo streaming.
I popoli audio
Un pianeta popolato da flussi lineari radiofonici più o meno disintermediati (attraverso app ed aggregatori) ed offerta on demand delle piattaforme online (Spotify & C.) o dei broadcaster (podcast, catch-up radio, ecc.).
Universo
Il tutto in un universo completato da una presenza, sempre meno rilevante, di contenuti proprietari (cd, con lettori quasi scomparsi da tutte le nuove vetture e chiavette USB o comunque hard disk).
L’offerta senza protocolli condivisi
La somministrazione di un’offerta contenutistica sempre più vasta, tuttavia, in assenza di protocolli univoci, si sta gradatamente affidando alla libera scelta dell’industria automobilistica.
Condizioni unilaterali
La quale, a seconda della marca, se non addirittura del modello dell’auto, determina regole assolutamente non uniformi, che arrivano addirittura a discriminare emittenti (o meglio, content provider), spesso in violazione delle raccomandazioni UIT sui criteri di ricezione e somministrazione.
L’elenco alfanumerico
Il primo discrimine è l’elenco, sottoposto in alcuni casi attraverso protocolli alfanumerici (prima i caratteri speciali (sul cui abuso sono attesi da troppo tempo provvedimenti di Agcom), poi i numeri, infine l’ordine alfabetico), con distinzione o meno della piattaforma analogica (FM) da quella digitale via etere (DAB+).
Principi di elencazione
Accade quindi che, in alcuni casi, l’elencazione parte dalle stazioni DAB, all’esaurimento delle quali segue (con i medesimi protocolli di suddivisione) quella analogica (FM).
Melting pot di piattaforme
Tuttavia, in alcuni casi, l’elenco è alfanumerico puro, quindi senza distinzione tra FM e DAB+.
Il segnale più forte
Così come in altri protocolli specifici del costruttore di auto, assegnano priorità alla potenza del segnale ricevuto.
Alternanza continua al vertice
Sicché, a prescindere dalla denominazione, hanno posizioni più alte i segnali più forti, che ovviamente cambiano continuamente in funzione della zona in cui si trova l’utente con la sua vettura, con un avvicendamento continuo non congeniale alla situazione dell’etere italiano.
Mantenere la distanza di sicurezza
L’interdistanza insufficiente tra frequenze FM, caratteristica tipica dell’etere italiano, non pianificato, è un altro tipico problema delle nuove autoradio, che tendono a discriminare sorgenti separate da meno di 300 KHz, soffocando segnali che a 200 KHz erano comunque tranquillamente ricevibili sui ricevitori più datati.
Addio ricerca manuale
In molte occasioni, inoltre, appare estremamente complicata la ricerca manuale della stazione FM (quelle DAB, essendo articolate in mux hanno protocolli di gestione ovviamente differenti) su alcuni modelli, al punto da renderla pressoché impossibile.
Android Auto ed Apple CarPlay
Logiche, quelle descritte, peraltro completamente sovvertite nel caso in cui l’utente decida di sfruttare gli onnipresenti o quasi (85% dei casi) sistemi Android Auto ed Apple CarPlay, cui si è aggiunto (seppur in maniera decisamente più limitata) DTS AutoStage di Xperi.
Scelta scontata
I quali, a quel punto, diverranno la scelta preferenziale dedotta dall’automobile, con emarginazione dei ricevitori via etere.
L’ultimo flusso
In questo frangente, l’utente che ha ascoltato un contenuto (lineare oppure on demand) attraverso una delle due piattaforme integrate nell’auto, al ritorno a bordo la troverà proposta come prima opzione, spesso con partenza automatica dell’ultimo flusso fruito (sia esso una playlist, un podcast, un contenuto catch-up radio o una radio lineare).
Meno zapping con lo streaming lineare sull’auto
Aspetti che qualche editore potrebbe anche considerare marginali o addirittura positivi, considerato che, secondo le indagini di Edison Research, l’ascolto sulle quattro ruote tramite app è molto più esteso quanto a durata della sessione, essendo meno frequente (perché più complicato da gestire) lo zapping.
App intermediata
Ma per questo non scevro da controindicazioni, nella misura in cui ad essere ascoltata non è l’app OTT (over the top, cioè disintermediata) della stazione, ma un flusso intermediato da un aggregatore, magari popolato da oltre 100.000 emittenti, come nel caso del più grande al mondo, TuneIn.
Lo zampino di Google
Aggregatore che ha strette relazioni finanziarie e commerciali con Google, con conseguenze scontate, come dimostrato dal fatto che, utilizzando il relativo assistente vocale per ascoltare una radio, la somministrazione è mediata, appunto, dal principale collettore di flussi streaming radiofonici del mondo per ascolti.
Scelta delegata
Ovviamente, lato utente, tutte le considerazioni espresse possono essere considerate di modesta rilevanza, atteso che ciascuno di noi (nella condizione di fruitore di un servizio) ambisce alla semplificazione ed è sempre più propenso a delegare la scelta al somministratore.
L’esperienza di Netflix
Come dimostrano le statistiche di Netflix, che certificano un progressivo affidamento degli abbonati ai suggerimenti dell’algoritmo della piattaforma (condizione peraltro tipica di ambienti carichi di contenuti che rendono la scelta estenuante).
I codici PI
Cosa è il Programme Identification
Il codice PI è un identificativo esadecimale che consente di mantenere l’ascolto di una stazione radio anche durante il passaggio da un’area di copertura a un’altra. Tuttavia, la mancanza di un’assegnazione univoca ha portato a conflitti, dove diverse stazioni radio condividono lo stesso codice, causando confusione nelle autoradio moderne, che mostrano loghi e informazioni errati.
Esacerbazione
Questo problema è esacerbato dall’aggiornamento autonomo dei database da parte delle case automobilistiche, come BMW, che non sempre riflettono correttamente i dati trasmessi dalle emittenti.
RadioDNS
Secondo gli esperti, la soluzione potrebbe passare attraverso l’adozione di standard come RadioDNS, che garantirebbe una gestione più coerente delle informazioni.
Regolamentazione sovranazionale
Tuttavia, per risolvere efficacemente la situazione, è necessaria un’imposizione regolamentare sovranazionale che obblighi l’industria automobilistica e quella radiofonica a seguire criteri univoci e armonizzati.
Protocolli condivisi, subito
Il problema, quindi, è quasi esclusivamente degli editori, che rischiano di essere ostaggio delle decisioni dell’automotive in assenza di una regolamentazione che possa (urgentemente) definire protocolli condivisi di gestione nell’erogazione dei contenuti.
Pesi e contrappesi
D’altra parte, non si tratta di una decisione facilmente conseguibile: in gioco ci sono pesi e contrappesi. Come mostra il confronto avuto al Tavolo tecnico per l’attuazione delle previsioni della delibera n. 294/23/CONS, con cui l’Autorità ha approvato il “Regolamento in materia di accessibilità del sistema di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre”.
La delibera 294/23/CONS
La Delibera Agcom 294/23/CONS, come ben sanno i lettori di questo periodico, prevede che i produttori di tv e decoder siano vincolati all’adozione di accorgimenti per la salvaguardia della sintonizzazione dei canali DTT attraverso i relativi LCN. Almeno un telecomando di quelli forniti dal produttore con l’apparecchio televisivo (o il decoder) deve essere numerico.
Le posizioni divergenti
Tavolo tecnico dove sono immediatamente emersi gli approcci profondamente differenti, se non addirittura contrapposti, tra produttori di apparati tv ed editori televisivi.
Semplificazione e difesa della posizione
I primi orientati alla semplificazione invocata dagli utenti; i secondi, naturalmente, a tutelare le rendite di posizione (di derivazione analogica), motivate come argine verso lo straripamento di potere da parte delle piattaforme mondiali di streaming on demand.
Autoradio
E se il braccio di ferro è complicato sullo schermo televisivo, che ha sempre goduto del sostegno politico, ben si può comprendere quanto maggiore lo sia sull’autoradio, i cui aspetti sottesi all’utilizzo non sono del tutto chiari nemmeno agli editori stessi.