Roma – È comprensibile l’entusiasmo con cui le major stanno salutando in queste ore una sentenza senza precedenti pronunciata da un tribunale belga, una sentenza che capovolge alcuni dei capisaldi nei rapporti tra provider ed utenti, una decisione secondo cui gli Internet Service Provider sono responsabili delle attività illegali eventualmente condotte sulle proprie reti da parte degli abbonati.
La sentenza che in qualche modo ufficializza la figura del provider poliziotto afferma che gli ISP hanno la possibilità tecnica di filtrare i contenuti scambiati illegalmente ed elenca tutta una serie di strumenti che possono essere implementati sui network per reprimere l’uso dei sistemi di file sharing. In particolare viene nominata Audible Magic, una delle società più vicine alle major in quanto produttrice di sistemi di filtering avanzato impiegati anche in moltissime reti private di aziende e corporation.
Il giudice belga ha ordinato che il provider Scarlet Extended (ex Tiscali) si doti entro sei mesi di procedure tecniche che blocchino l’accesso ai file illegali da parte dei propri utenti, con una sanzione di 2.500 euro in canna per ogni giorno di ritardo. Per un fornitore di servizi broad band, naturalmente, dover impedire di default l’uso dei sistemi peer-to-peer può tradursi in una emorragia di utenti. Sempre che riesca tecnicamente nell’impresa. E la sentenza ha un respiro ampio perché, sostiene IFPI, si basa sulle direttive europee, la famigerata EUCD, e dunque “crea un importante precedente contro la pirateria internazionale”.
TorrentFreak ricorda come distinguere ciò che legale da ciò che non lo è possa rivelarsi impossibile, il che riduce ad una le scelte per Scarlet, ovvero bloccare integralmente questo genere di traffico, legale o meno poco importa. Una scelta pesante, difficile, vista anche la crescente quantità di contenuti perfettamente leciti distribuiti tramite sistemi di sharing come BitTorrent.
D’altro canto, sottolinea Slyck, le tecnologie come quelle di Audible Magic sono destinate a non funzionare. Audible detiene un database con i fingerprint delle opere che si vogliono proteggere, e un software di matching che viene installato sulla rete dei provider, software che esamina e paragona i pacchetti che transitano con le informazioni contenute nel database. I pacchetti che non hanno riscontri passano, gli altri vengono bloccati. “Funzionerà?” – si chiede Slyck – “Se la storia del file sharing ci ha insegnato qualcosa, è che qualsiasi tecnologia sviluppata per contrastare la violazione del diritto d’autore è stata rapidamente bypassata. Audible Magic oggi non è una minaccia reale, e tutto suggerisce che non lo sarà mai”.
Eppure, anche se tecnicamente inefficiente, la sentenza consente ai detentori del diritto d’autore di dar fiato alle trombe. Nel suo comunicato sulla vicenda, la società degli autori e degli editori belga, omologa dell’italiana SIAE, la SABAM, sostiene che nella sentenza, il cui testo per ora non è disponibile, il giudice non imponga a Scarlet di monitorare la propria rete. La Corte non parla dunque di un provider costretto a seguire ogni attività dei propri utenti quanto invece di un operatore che è tenuto ad implementare strumenti tecnici. Questo, secondo il tribunale, anche a tutela della privacy degli utenti, vista la “neutralità” di questi strumenti.
Affermazioni che non possono essere condivise da tutti. Lo sostiene Rick Falkvinge, fondatore del PiratPartiet svedese, secondo cui invece la sentenza “conferma quello che abbiamo sempre detto: l’industria musicale vuole abolire il segreto postale e la libertà di stampa per mantenere monopoli che vanno crollando. Stanno celebrando il fatto che una terza entità, senza supervisione, (come Audible Magic, ndr.) ispezioni tutto quello che viene trasmesso tra uno o più privati cittadini, e abbia il potere di distruggere qualsiasi comunicazione indesiderata”.
SABAM conferma peraltro nella sua nota che “se tutti gli internet provider belgi adottassero le misure tecniche proposte dagli esperti (nel corso del giudizio, ndr.), cosicché il P2P non possa più essere utilizzato per scambiare opere protette, allora il traffico illegale sarebbe distrutto almeno per quanto riguarda il Belgio”.
Che Falkvinge possa aver visto lungo sembrano confermarlo anche le dichiarazioni di John Kennedy, CEO e chairman di IFPI, secondo cui “questa è una sentenza estremamente significativa, che fa emergere proprio quello che abbiamo detto negli ultimi due anni, ovvero che chi detiene l’accesso alla rete, i provider, hanno una responsabilità nel contribuire a reprimere il traffico pirata sulle proprie reti”. “Questa decisione – ha sottolineato Kennedy – speriamo possa spingere a nuove policy governative e a nuove sentenze in altri paesi in Europa e nel resto del Mondo”.