Secondo Kokott, infatti, la legge europea non prevede alcun obbligo per i provider di fornire questo genere di informazioni ai detentori dei diritti d’autore, anche quando questi sostengono che gli IP rilevati sono di utenti che hanno commesso degli illeciti. Un’affermazione che riguarda tutti i procedimenti civili.
A rivelarlo è il Timesonline ma l’eco delle parole di Kokott si fa sentire un po’ ovunque, anche nella blogosfera e anche oltre Atlantico. Kokott si è pronunciata nell’ambito della causa intentata da Promusicae, associazione discografica spagnola, contro il provider Telefonica per non aver prontamente ricevuto da quest’ultima nomi e indirizzi di presunti “pirati”, utenti di un sistema di sharing ormai in declino, KaZaA.
Secondo l’avvocato generale, la presunzione di colpevolezza non basta per obbligare gli ISP a spifferare tutto sui propri utenti, risultando quindi valida la posizione espressa in tribunale dal provider spagnolo, il maggiore del paese, che ha ribattuto alla richiesta dei discografici sostenendo che sia possibile condividere tali dati con soggetti terzi solo in caso di indagini per crimini gravi o di pubblica sicurezza, e non certo per illeciti civili.
Il parere di Kokott non è vincolante, ma dovrebbe fungere da autorevole consiglio legale propedeutico alla decisione dei giudici iberici: secondo il Times, esiste una probabilità dell’80% che tale parere venga recepito e trasformato in sentenza da parte della corte giudicante.
Segnali dunque contrastanti dal Vecchio Continente nei confronti della condivisione della conoscenza e dei contenuti senza autorizzazione degli aventi diritto: non sarà forse indispensabile spifferare le identità dei netizen, ma l’obbligo di filtrare i file illegali è stato recentemente invocato da un tribunale belga. Per i giudici è necessaria l’istituzione dei cosiddetti provider poliziotti, alla stessa stregua di quanto accade negli USA con AT&T e i suoi nuovi amici: RIAA, MPAA e organizzazioni affini.
E in Italia? Nel bel paese il caso Peppermint vs. utenti P2P continua a tenere banco, dopo le decisioni con cui il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso dell’etichetta discografica tedesca per la mancata consegna dei nominativi degli utenti da parte di Wind e Telecom. Tali pretese sono infondate, hanno stabilito i giudici, e sarà ora interessante valutare le motivazioni delle ordinanze. Ma, al di là del caso specifico, grazie alla Legge Urbani, in Italia condividere file è considerato un reato penale, il che significa che i principi espressi da Kokott nel Belpaese potrebbero infrangersi sugli scogli di una normativa controversa e contraddittoria.
Sia come sia, le recenti decisioni pro-utenti del Tribunale capitolino non vanno proprio giù all’industria musicale nostrana: in un comunicato stampa pubblicato ieri, il presidente della piccola e media industria aderente a FIMI, Mario Allione, si è lanciato in una invettiva contro quella che definisce una minaccia per le società di settore, ossia la condivisione non autorizzata di brani, con particolare riguardo alle realtà “indie”, etichette indipendenti che si rivolgono ad un pubblico di nicchia e che vedono la propria sopravvivenza minacciata dallo scambio illecito.
“Le etichette indipendenti costituiscono una delle risorse più importanti nello sviluppo della cultura musicale europea, è necessario però che questo lavoro sia adeguatamente tutelato consentendo la diffusione della produzione indipendente nel mondo attraverso anche il commercio legale di contenuti musicali”, sottolinea Allione, che si lamenta delle decisioni dei giudici, a suo dire inneggianti alla pirateria telematica. “Decisioni come quelle di questi giorni – si legge ancora nel comunicato – rischiano di favorire una pirateria indiscriminata, proprio a danno dei repertori più deboli. Sono convinto che le Istituzioni debbano riflettere attentamente sulla questione”.
Alfonso Maruccia