La piattaforma di streaming audio più famosa al mondo ha recentemente reso noti i risultati relativi al third quarter dell’anno corrente, mettendo in mostra come la crescita sia andata ben oltre le aspettative già comunque positive.
Ma c’è anche il retro della medaglia. Sebbene, infatti, Spotify possa contare su un numero di utenti mensili sempre più importante, sia free che premium, è altresì vero che la piattaforma registra un rosso sul risultato operativo. Tale dato sarebbe anche dovuto ad alcuni recenti investimenti che hanno a propria volta contribuito ai risultati del Q3. Dalle acquisizioni, allo sviluppo di nuove funzionalità, fino al miglioramento dell’esperienza, la società ha portato avanti una strategia importante, che sta dando i suoi frutti in termini di popolarità fra gli utenti, ma che deve essere tradotta anche in segni positivi sul bilancio. Comincia, dunque, ad aleggiare il timore di un aumento dei prezzi sugli abbonamenti.
Q3 sopra le aspettative per Spotify
Il terzo trimestre del 2022 si è chiuso più che in positivo per Spotify. La piattaforma, infatti, ha registrato numeri generali ben più alti delle aspettative.
Abbonati in aumento
Per quanto riguarda gli utenti mensili, la crescita è stata del 20% sullo stesso periodo del 2021. Un incremento che porta così il servizio a quota 456 milioni. Mentre gli abbonati premium aumentano del 13%, arrivando a 195 milioni: 80 milioni in più rispetto al 2019.
I ricavi di Spotify
Tradotti (è proprio il caso di dirlo) in “soldoni”, i risultati inaspettati di Spotify hanno generato ricavi per 3,4 miliardi di euro: la crescita, qui, è stata del 21% sul Q3 del 2021. La cifra è composta per la maggior parte dalle entrate degli abbonamenti – 2,65 miliardi di euro (+22%) – e il restante – 385 milioni (+19%) – dalla raccolta pubblicitaria.
Le perdite
Nonostante gli incassi ben oltre le aspettative, la società registra una perdita operativa di 228 milioni di euro, contestualmente a una netta da 194 milioni. Questi rossi in bilancio sono da imputare, tra l’altro, agli investimenti dell’azienda, sia sul lato del prodotto, sia su quello della c.d. ux, ossia la user experience.
Costi necessari
In proposito, i costi principali riguarderebbero l’ampliamento del catalogo con gli audiolibri (per ora solo negli USA) e le nuove funzioni dell’app, con playlist condivisibili e mix sempre più personalizzati. Spese necessarie alla fidelizzazione dell’utente, ma anche all’appetibilità per i potenziali clienti. Visti i numeri citati, si può dire con tutta sicurezza che i capitali investiti sono stati “soldi ben spesi”.
Ma non basta
Ma non si vive solo di buone intenzioni e dunque Daniel Ek, patron di Spotify, dovrà pensare alle prossime mosse per rendere gli investimenti vantaggiosi a livello economico e non solo popolare. Ci si può dunque ragionevolmente attendere un aumento del costo degli abbonamenti.
Spotify come Netflix?
Non sarebbe certo un fulmine a ciel sereno nel settore, vista l’intenzione di Netflix di aumentare i prezzi per gli utenti che condividono le password con non-abbonati. Vista, però, la grande varietà del sistema di abbonamenti Spotify, tra piani per singoli, coppie, famiglie e riduzioni per studenti, sarà interessante capire se gli eventuali aumenti saranno calcolati pro capite, e dunque applicati in maniera relativa al piano, o se saranno un surplus uguale per tutti, a prescindere dal numero di paganti per sottoscrizione. (A.M. per NL)