Si è molto parlato in queste settimane dell’inaspettato successo della serie Squid Game, un survival game nel quale i giocatori, confinati in una location misteriosa, si contendono il premio finale di 38 milioni di dollari e dove chi perde è condannato a perdere anche la vita. Quello che neppure gli analisti si aspettavano era, però, l’effetto di rilancio per tutti gli elementi che contano: +4,4 milioni di abbonati (contro un’aspettativa di 3,8) e 7.48 miliardi di ricavi sul quarter. Eppure gli indizi c’erano tutti: come da consuetudine Netflix aveva pubblicamente celebrato il successo della serie con il consueto indicatore, 111 milioni di spettatori raggiunti in meno di quattro settimane. A titolo di paragone, il record precedente era detenuto da Brigerton con 82 milioni di spettatori nei primi 28 giorni.
Out of Los Angeles
Un documento riservato di Netflix, reso pubblico il 17 ottobre 2021 da Bloomberg, ci permette di approfondire alcuni importanti indicatori sui quali l’OTT valuta le proprie produzioni e di fare qualche considerazione su una strategia dei contenuti non Los-Angeles-centrica.
Squid Game
Sarebbe facile liquidare Squid Game come una sorta di colpo di fortuna dell’OTT, un successo una tantum dovuto all’eccentricità della sceneggiatura che ha trasformato il titolo in un classico fenomeno virale. Ma sarebbe un errore.
Si tratta, piuttosto, del frutto di una strategia impostata da anni, quella di investire seriamente anche nei contenuti di flavour e lingua straniera dal punto di vista statunitense.
Netflix.kr
Nella sola Corea del sud Netflix ha speso più di un miliardo di dollari nella produzione di numerosi titoli, ottenendo inizialmente risultati modesti. Ma il successo di Squid Game ha segnato una decisa svolta, portando oltretutto nuovi abbonati che a stanno divenendo spettatori anche delle serie precedenti. Squid Game è il primo serial coreano a sfondare su scala internazionale, tanto che al 19 ottobre risulta essere la seconda serie più vista in una nazione storicamente piuttosto chiusa ai contenuti esteri quale la Francia.
Globalizzazione
Importante infatti osservare come la serie sia disponibile a livello globale e non solo nel mercato coreano (o asiatico). Netflix è infatti passata da anni dal classico modello uno-a-molti (produzioni pensate e realizzate a Los Angeles per una distribuzione globale) ad un modello molti-a-molti (produzioni distribuite in tutto il pianeta, tradotte e rese disponibili ovunque); un fenomeno che avrà oltretutto anche importanti ricadute culturali.
Lato domanda
Lato spettatori, come rilevabile dal grafico, quasi il 46% della domanda di contenuti originali (serie) viene tuttora soddisfatta da Netflix, con i principali competitor Amazon e Disney+ distanti secondi con rispettivamente il 12.1% e l’8.4%. L’importanza strategica di questi investimenti globali non va sottovalutata: se Disney, Amazon, Apple TV+ e gli altri OTT stanno guadagnando terreno negli USA, questi sono ancora indietro anni luce rispetto a Netflix quando si parla di mercati locali.
Esperienza sul terreno
Non si tratta di disponibilità di capitale, ma di esperienza sul terreno: ci sono infatti voluti molti anni perché Netflix riuscisse a sfondare ad esempio in America Latina, risultato ottenuto con il giusto pricing, la giusta strategia di comunicazione e, appunto, i giusti contenuti (nel caso specifico, la serie Breaking Bed).
Squid Game: metrics
Veniamo dunque ai dati di Squid Game rivelati da Bloomberg. Come detto il numero ufficiale parla di 111 milioni di viewers. Questi sono definiti in modo simile ai famosi contatti su cui si misurano le emittenti radiofoniche italiane; in questo caso viene considerato spettatore chi segue per almeno due minuti una puntata qualunque della serie. A titolo di paragone, nel caso dei contatti radiofonici, TER definisce ascoltatore chi segue un’emittente per almeno 15 minuti non consecutivi.
Spettatori veri
Ed ecco i dati sorprendenti di Squid Game: l’89% del pubblico ha seguito la serie per almeno 75 minuti, dunque per almeno due puntate (la durata media delle prime quattro è di 57 minuti).
Il 66% degli spettatori (87 milioni, dato aggiornato al 15 ottobre) ha completato la serie (9 episodi) nelle prime quattro settimane in cui il titolo è stato disponibile (indicatore detto completion rate).
Oltre un miliardo di ore viste
Il numero cumulato di ore viste (uno strano indicatore di cui Netflix tiene traccia) è pari a 1,3 miliardi; per tutti questi dati NL non ha potuto effettuare il consueto reality check (controllo incrociato dei dati) in quanto la metodologia di calcolo (o forse di rilevazione) non è, per quanto ci risulta, pubblica.
La questione costi
Lato costi ci troviamo di fronte ad un nuovo record: non sono disponibili i valori assoluti, ma Bloomberg afferma che l’intera serie è costata come due soli episodi di The Crown: possiamo concludere dunque che il budget della serie fosse ben il 20% di quello assegnato ad un potenziale blockbuster (quale appunto The Crown), a conferma di quanto importanti siano gli investimenti in contenuti sui titoli non solo stranieri ma anche che – sulla carta – hanno scarso appeal globale.
Scarso appeal?
Ma forse le cose sono più complesse: non possiamo infatti escludere che il famoso sistema di ML di Netflix – di cui abbiamo parlato nel paragrafo shaping the catalog dell’articolo di febbraio – avesse dato qualche segno importante ai decisori, segno che evidentemente la società non ha esitato a utilizzare.
NFLX
I risultati trimestrali hanno dunque dato ragione alla strategia di Reed Hastings. Con queste nuove prospettive globali e la ripresa delle produzioni originali (dopo lo stop dovuto alla pandemia) non pochi si aspettano che la società possa tornare ad essere un Wall Street Darling. (M.H.B. per NL)