Può il servizio pubblico, da un lato, offrire un prodotto universale che tenga conto anche delle fasce deboli e, dall’altro, presentare contenuti dedicati come Netflix e gli altri Over The Top? Forse no, ma è ciò che viene chiesto alla Rai e che la Rai chiede a se stessa: rispondere alle necessità di tutti i settori sociali e, altresì, competere con le media company.
Gian Paolo Tagliavia, chief digital officer di viale Mazzini, è ben consapevole di questa pretesa al limite della schizofrenia: “Da un lato, il mondo digitale va verso una personalizzazione dei contenuti, dall’altro, però, si chiede al servizio pubblico di essere universale. Ci chiedono di ridurre il digital divide, il divario tecnologico tra generazioni e tra zone geografiche. Però ci viene anche richiesto di ingaggiare il pubblico dei teen e dei giovani adulti”.
Unica differenza però è che, mentre la Rai deve necessariamente tenere in considerazione e adoperarsi per rispondere a tutti i bisogni comunicativi e di intrattenimento del Paese, Netflix e simili possono dedicarsi esclusivamente a ciò per cui sono nate, creando e veicolando prodotti volti a soddisfare esclusivamente il proprio target di riferimento.
“La Rai – spiega Tagliavia sulle pagine di Italia Oggi – deve intercettare i bisogni della società. E per farlo, nel concreto, deve individuare attività, prodotti digitali, prodotti televisivi, prodotti editoriali., deve capire cosa si vede e come lo si vede.
Ci sono alcune cose che solo il servizio pubblico può fare, come il documentario sui minatori del Sulcis di Rai Radio Tre che ha vinto il Prix Italia, con cui si è arricchito il panorama mediale italiano. Oppure prodotti destinati ai non vedenti, a categorie disagiate, a minoranze. Queste sono cose che i broadcaster privati non fanno. Poi la Rai può lavorare in ambiti che pure i concorrenti coprono. Lì, però, ci vuole uno sguardo diverso rispetto ai player commerciali, prodotti con sensibilità che altri non hanno. Pensiamo solo al mercato bambini, ai canali Rai o alle app di Yo-Yo senza pubblicità”. Ed è proprio su questa sensibilità che l’azienda deve puntare, proprio in funzione della sua vocazione primaria.
Ma ciò – a fronte dell’evoluzione digitale, dell’importanza di essere presenti su tutte le piattaforme e della necessità di raccogliere più pubblico possibile – non basta. Proprio per questo l’azienda che vive grazie al canone dei cittadini ha sviluppato RaiPlay, l’OTT che permette di accedere ai contenuti televisivi e radiofonici del gruppo. Una piattaforma digitale che per molti aspetti richiama i più noti servizi SVOD, tra cui, per esempio, la possibilità di binge watching (ossia, la visione ininterrotta di episodi di una serie), forse non troppo in linea con gli obiettivi di servizio pubblico.
Sta di fatto che, per quanto difficoltoso, la Rai sta cercando di stare al passo con il mondo 4.0 e proprio RaiPlay ne è la dimostrazione. (G.C. per NL)